Ambiente e clima: dalla UE stanzia 280 milioni di euro

Oggi la Commissione europea ha approvato il finanziamento di 225 nuovi progetti nel quadro del programma LIFE+, il fondo per l’ambiente dell’Unione europea. I progetti selezionati, che sono stati presentati da beneficiari di tutti i 28 Stati membri, prevedono interventi negli ambiti della tutela della natura, dei cambiamenti climatici, delle tecnologie pulite, delle politiche ambientali, nonché azioni attinenti all’informazione e alla comunicazione in materia di ambiente in tutta l’UE. L’investimento complessivo è pari a 589,3 milioni di euro, di cui 282,6 milioni di contributo dell’UE.Janez Potočnik, Commissario per l’Ambiente, ha dichiarato: “Nell’ultimo anno dell’attuale periodo di programmazione il programma LIFE+ ha dimostrato, una volta di più, la sua capacità di garantire un sostegno finanziario essenziale ai progetti di conservazione dell’ambiente e della natura con un significativo valore aggiunto per l’UE. Questi ultimi progetti apporteranno un contributo vitale al mantenimento, alla conservazione e al miglioramento del capitale naturale in Europa e aiuteranno a conseguire una crescita sostenibile grazie agli investimenti in un’economia a basse emissioni di carbonio ed efficiente sotto il profilo delle risorse. Il successo ampiamente riconosciuto di LIFE+ e dei suoi progetti ha condotto alla recente adozione di un nuovo regolamento LIFE per l’ambiente e l’azione per il clima per il periodo 2014-2020 con una dotazione di bilancio superiore”. Connie Hedegaard, Commissaria per l’Azione per il clima, si è così espressa: “Sono soddisfatta di vedere così tanti progetti innovativi anche quest’anno. Per realizzarli contribuiremo con oltre 41,2 milioni di euro per uno stanziamento di bilancio complessivo di 109,4 milioni di euro. Una quota sempre maggiore dei progetti LIFE si incentra sull’azione a favore del clima. E noi vogliamo fare ancora di più: il nuovo programma LIFE 2014-2020 stanzierà oltre 850 milioni di euro all’azione per il clima, triplicando di fatto lo stanziamento assegnato finora”.
La Commissione ha ricevuto 1 468 domande di finanziamento in risposta all’ultimo invito a presentare proposte, chiuso nel giugno 2013. Di queste, 225 sono state selezionate per un cofinanziamento nell’ambito delle tre componenti del programma, ossia: LIFE+ Natura e biodiversità, LIFE+ Politica e governance ambientali e LIFE+ Informazione e comunicazione.
1) I progetti LIFE + Natura e biodiversità permettono di migliorare lo stato di conservazione delle specie e degli habitat in pericolo. Tra le 342 proposte ricevute, la Commissione ha scelto 92 progetti da finanziare nell’ambito di partenariati con organismi di conservazione, enti governativi e altre parti interessate. Coordinati dai beneficiari di 25 Stati membri, tali progetti rappresentano un investimento complessivo dell’ordine di 262,5 milioni di EUR, cui l’UE contribuirà con circa 147,9 milioni. La maggior parte di essi (79) rientra nella categoria “Natura” e concorre ad attuare le direttive Uccelli e/o Habitat e la rete Natura 2000. Gli altri 13 sono progetti relativi alla biodiversità, una nuova categoria di LIFE+ per progetti pilota che affrontano temi più ampi connessi alla biodiversità.
2) I progetti LIFE+ Politica e governance ambientali sono progetti pilota che contribuiscono a migliorare le politiche apportando idee, tecnologie, metodi e strumenti innovativi. Tra le 961 proposte ricevute, la Commissione ha scelto 125 progetti che saranno finanziati da una vasta gamma di organizzazioni del settore pubblico e privato. I progetti scelti, coordinati dai beneficiari in 22 Stati membri, rappresentano un investimento complessivo di 318,5 milioni di euro, cui l’UE contribuirà con circa 130,8 milioni.

Nell’ambito di questa componente la Commissione sosterrà con oltre 41,2 milioni di euro 33 progetti sui cambiamenti climatici per un investimento totale di 109,4 milioni di euro. I progetti selezionati saranno realizzati in Austria, Belgio, Germania, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Svezia e Regno Unito.Inoltre, anche molti altri progetti incentrati su temi diversi eserciteranno un impatto indiretto sulle emissioni di gas a effetto serra. Altri significativi ambiti di interesse includono i rifiuti e le risorse naturali, l’innovazione, l’acqua e le sostanze chimiche.

3) I progetti LIFE+ Informazione e comunicazione puntano a dare maggiore visibilità alle tematiche ambientali e a divulgare informazioni in materia. Tra le 165 proposte ricevute, la Commissione ha scelto otto (8) progetti presentati da una serie di organizzazioni del settore pubblico e privato che si occupano di natura e/o ambiente. I progetti, che saranno realizzati in sei Stati membri – Austria, Cipro, Grecia, Ungheria, Polonia e Romania — rappresentano un investimento totale di 8,3 milioni di euro, cui l’UE contribuirà con 3,9 milioni. La metà degli otto progetti riguardano campagne sulla politica ambientale dell’UE, tre intendono effettuare opera di sensibilizzazione sugli aspetti della natura e della biodiversità, mentre l’ultimo è incentrato sulla prevenzione degli incendi boschivi. LIFE+ è lo strumento finanziario europeo dedicato all’ambiente con una dotazione pari a 2,1 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. La Commissione ha pubblicato ogni anno un invito a presentare proposte di progetti LIFE+. Nel periodo 2014-2020 il programma LIFE proseguirà nell’ambito del nuovo regolamento LIFE per l’ambiente e l’azione per il clima. Il programma, che per tale periodo vanta una dotazione di 3,4 miliardi di euro, a prezzi del 2013, sarà articolato in due sottoprogrammi, uno per l’ambiente e uno per l’azione per il clima.

di Tommaso Tautonico

http://alessandrobratti.blogspot.it/2014/05/ambiente-e-clima-dalla-ue-stanzia-280.html?spref=tw

Ambiente, PD: “Sui delitti ambientali le nuove norme sono una svolta epocale”

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pubblicato il 27 febbraio 2014
“Con l’approvazione alla Camera della legge che eleva a delitti i reati ambientali – con l’inserimento nel Codice penale del disastro ambientale, dell’inquinamento ambientale, del traffico e abbandono del materiale di alta radioattività e dell’impedimento di controllo – il nostro Paese compie un nuovo e importante passo in avanti nella tutela del valore universale dell’ambiente e nella costruzione di un sistema di contrasto all’illegalità ambientale che premia di tutto le imprese che operano nel rispetto della legge. 

Siamo orgogliosi di avere scritto oggi questa pagina positiva, fortemente voluta dal Partito Democratico, insieme al lavoro del Ministro Orlando e al contributo costruttivo anche delle forze di opposizioni, nel percorso svolto in commissione e in aula.

Nel primo giorno di lavoro del governo Renzi consegniamo al neo Ministro dell’Ambiente Galletti questo importante provvedimento, che dovrà ora essere accompagnato da uno sforzo altrettanto importante nella riduzione del peso della burocrazia e nel rafforzamento del sistema dei controlli ambientali per costruire una nuova stagione di sviluppo che metta finalmente l’ambiente al centro”. Lo ha detto Chiara Braga, responsabile Ambiente del Partito Democratico.

Per Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera, “è un risultato storico e atteso da tempo il via libera al testo unificato sui delitti ambientali arrivato oggi dalla Camera, un traguardo al quale lavoro da anni. Con questo importante provvedimento sul rafforzamento dell’azione penale in ambito ambientale, nato a partire da una proposta di legge di cui ero primo firmatario (Realacci A.C. 342) e dalle analoghe proposte dei colleghi Micillo (M5S – A.C. 957) e Pellegrino (Sel – A.C. 1814), si renderà più efficace il contrasto alle illegalità e alle ecomafie, adeguando finalmente il nostro codice penale ai sempre più diffusi reati contro l’ambiente e alla normativa europea in materia (direttiva n. 2008/99/CE). Crimini che, stando al rapporto Ecomafia di Legambiente, fruttano alla malavita organizzata circa 16,7 miliardi l’anno. Tra i punti qualificanti del testo unificato l’introduzione di nuovi reati a partire da quello di disastro ambientale. Introdotti anche i delitti di inquinamento ambientale, traffico di materiale radioattivo e impedimento di controllo, l’aggravante per chi commette reati ambientali in forma associativa e del ravvedimento operoso, le disposizioni per la confisca del profitto generato dal reato ambientale e l’obbligo al ripristino dei luoghi in caso di condanna o patteggiamento. Mi auguro che il testo unificato licenziato oggi dalla Camera venga approvato rapidamente dal Senato perché rappresenta un passo avanti importante nella lotta contro le ecomafie e le illegalità”.

“Grande soddisfazione” per l’approvazione da parte della Camera della nuova legge sui reati ambientali è stata espressa da Alfredo Bazoli, relatore del provvedimento. Bazoli aggiunge che “le nuove norme, che introducono nel codice penale quattro nuovi reati – disastro e inquinamento ambientale, traffici di rifiuti ad alta radioattività e impedimento dei controlli – erano attese da 20 anni e garantiscono finalmente un sistema in grado di tutelare l’ambiente, contrastare l’illegalità e premiare le imprese che operano nel rispetto della legge”.

“Le nuove norme sui delitti ambientali erano attese da tempo perché rappresentano una svolta epocale”. Così l’onorevole Alessandro Bratti nella dichiarazione di voto del Gruppo sul ddl approvato dalla Camera: “I nuovi quattro reati introdotti nel codice penale – disastro ambientale, inquinamento ambientale, rifiuti ad alta radioattività e impedimento dei controlli – introducono una riforma di civiltà. Ora è necessario – aggiunge – che il parlamento dia il via libera velocemente anche ad una legge collegata, cioè quella sulla revisione delle agenzie ambientali perché in questo modo si potranno davvero sostenere le imprese migliori e di qualità e al contempo si potrà davvero evitare che lo Stato sia derubato dall’economia nera che oggi affligge il nostro Paese”.

 


L’ideologia della Grande Opera a Pedali di PAOLO RUMIZ

 

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L’ideologia della Grande Opera a Pedali

di PAOLO RUMIZ   20 Febbraio 2014
Un articolo descrittivo dei progettoni ciclabili (di qualche utilità?) tanto di moda in Italia, e soprattutto un fulminante commento di Paolo Rumiz che ne svela il senso reale. La Repubblica, 20 febbraio 2013

Le autostrade delle biciclette, ecco l’ultimo sogno verde pedalare da Torino a Palermo
di Cristiana Salvagni
ROMA — Da Torino fino a Palermo e da Trieste giù dritti a Santa Maria di Leuca. Tutto in bicicletta. Sono due delle rotte ciclabili ipotizzate in una proposta di legge messa a punto da 80 parlamentari bipartisan per realizzare, in pochi anni, una rete nazionale da percorrere a pedalate, lunga fino a 20mila chilometri. Utile per eliminare l’uso dell’auto sui tragitti più brevi, e che passando per i capoluoghi e i parchi naturali strizzi anche l’occhio al turismo sostenibile, tanto amato dagli stranieri.«Il 60 per cento degli spostamenti in macchina copre una distanza inferiore ai 5 chilometri, il 15 per cento addirittura inferiore a un chilometro: sono distanze facilmente percorribili in bicicletta, se si hanno a disposizione percorsi sicuri» spiega Antonio Decaro, deputato del Pd che per primo ha firmato la proposta. «Così abbiamo creato una legge nazionale sulla mobilità ciclistica che include, oltre alla rete, un piano per accorpare le regolamentazioni che regioni, province e comuni saranno obbligati a fare». Per esempio «in tutte le stazioni ferroviarie e dei bus extraurbani gli enti locali dovranno costruire una velostazione per lasciare e riparare le bici — continua Decaro — e i comuni dovranno inserire, in caso di concessione edilizia, la clausola di prevedere anche spazi di sosta per le bici, così come ora avviene per le auto». 

Questa futuristica autostrada ecologica, povera di asfalto e ricca di argini fluviali e antiche strade romane, si comporrà di 18 grandi itinerari, già tracciati in una mappa curata dalla Federazione italiana amici della bicicletta. «Da Bolzano si potrà pedalare fino a Catanzaro, dalla foce del Po fino a Venezia e da Milano si scenderà fino a Bari» racconta Antonio Dalla Venezia, responsabile Fiab del cicloturismo e della mobilità extraurbana. «C’è la ciclopista del Sole, lunga tremila chilometri, ma anche la ciclovia dei Pellegrini, di duemila, che ricalca la viaFrancigena: parte da Chiasso e attraversa Siena, Roma e Benevento fino all’antica meta di Brindisi, dove i fedeli si imbarcavano per raggiungere Gerusalemme. Un itinerario del genere potrebbe diventare un cammino internazionale come quello di Santiago de Compostela » prosegue Dalla Venezia. «In un momento in cui il turismo tradizionale è in crisi potremmo puntare su quello sostenibile praticato soprattutto da tedeschi, olandesi, francesi, visto che nel nostro Paese la stagione è molto lunga». Un tipo di vacanza che ogni anno muove in Europa dieci milioni di viaggiatori.

Se dai 4mila chilometri di piste esistenti ai 20mila in progetto la pedalata non sembra breve, in realtà le strade per trasformare il sogno in realtà sono molteplici. «Si possono riadattare i 5mila chilometri di lineeferroviarie dismesse, in particolare sulla dorsale adriatica — insiste Claudio Pedroni della Fiab — mettere in sicurezza le vie a basso traffico e poi recuperare gli argini dei fiumi e le piste di servizio degli acquedotti. E ancora le consolari storiche come la vecchia Salaria, che sfiora i Monti Sibillini e Campo Imperatore, o la Flaminia, puntellata dalle parti di Fano di manufatti romani». A pagare dovrebbe essere il ministero dei Trasporti. «Chiediamo — chiarisce Decaro — che il piano della mobilità ciclistica sia inserito nel piano nazionale dei trasporti: questo significa che ogni volta che viene finanziata la mobilità ferroviaria o automobilistica una piccola percentuale delle risorse, pari al 2 per cento, deve essere destinata alle biciclette». E i tempi? «Contiamo di depositare la proposta di legge entro una decina di giorni. E, una volta approvata, speriamo che per realizzarla bastino quattro o cinque anni».

Ma all’Italia non servono percorsi ghetto
di Paolo Rumiz

FOSSE per me, renderei ciclabile tutta l’Italia, quindi ben venga un ribaltone della viabilità. Sono stanco di rischiare la vita ogni giorno che mi muovo su due ruote per fare la spesa o andare al lavoro. Quella che temo è l’Italia, la sua cultura, che è tutta contro il velocipede. L’italiano medio disprezza chi lo usa, lo odia come un intralcio. «Ma quando sparirete», mi hanno gridato un giorno.

Per questo temo il trucco. Temo che ci si butti su piste “ghettizzate” già superate in tutta Europa, utili solo a togliere la bici dalle scatole degli automobilisti. Ho anche paura che ci si faccia scudo del mezzo ecologico per buttare soldi in inutili mega-progetti, o peggio che si faccia quella scelta solo per fare, senza crederci, qualcosa di sinistra.

Ho alcune convinzioni di ferro. La vera rivoluzione non è creare riserve indiane per turisti, ma rendere possibile l’uso della bicicletta nel quotidiano. Sogno pendolari sul sellino, mamme che vanno in bici a prendere i figli all’asilo, manager con gli incartamenti nelle sacche del mezzo gommato. Non so se avete mai visto la sera, ad Amsterdam o Zurigo, il rientro dal lavoro. C’è una città intera che fruscia. Bici col rimorchioper bambini, bici a tre ruote per originali, tandem per le coppie. Giorni fa a Vienna ho visto un ministro senza scorta parcheggiare il mezzo nel cortile della cancelleria. Il Reichstag, a Berlino, ha un parcheggio per soli quaranta posti macchina. I parlamentari affluiscono col metrò, a piedi o su due ruote.

Ne saremo mai capaci? Il fatto è che in Germania chi progetta piste ciclabili va in bicicletta, in Italia no. È questo che la fa differenza. E così accade che a Nord già si sperimentino piste ciclabili ad alta velocità, competitive con l’automobile, per connettere centri e periferie. L’obiettivo, oltre le corsie preferenziali, è la condivisione della strada e la moderazione del traffico in alcune aree con velocità ridotta per i motorizzati. Quella sarebbe davvero Europa.

 


Rivoluzione verde, il Parlamento europeo approva la relazione di Zanoni sulla nuova direttiva di Valutazione Impatto Ambientale VIA

 

Comunicato stampa del 9 ottobre 2013

Redatto dall’ufficio stampa di Andrea Zanoni, deputato al Parlamento europeo

Il Parlamento europeo approva a Strasburgo la nuova direttiva VIA e affida al suo relatore, l’eurodeputato Andrea Zanoni, il mandato di iniziare i negoziati con Consiglio e Commissione. Entro il 2016 la nuova VIA che riguarda anche il gas di scisto.
Zanoni: “Giorno storico per la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini in Europa. Abbiamo sconfitto la lobby delle industrie che inquinano di più”

“Approvata una direttiva sulla Valutazione d’Impatto Ambientale VIA che tutelerà più l’ambiente e i cittadini e meno gli interessi di quelle lobby dell’industria che inquinano di più”. E’ il commento a caldo di Andrea Zanoni, eurodeputato ALDE, membro della commissione ENVI Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Alimentare, all’approvazione di oggi a Strasburgo della nuova direttiva VIA di cui è relatore. “Abbiamo sconfitto il blocco più conservatore dell’Aula, composto dalle destre e dai popolari (di cui fanno parte Pdl e Udc, ndr) che non volevano l’approvazione di una direttiva più verde. Adesso andiamo avanti con le negoziazioni con Commissione e Consiglio per far entrare in vigore al più presto questo testo rivoluzionario”.

Il Parlamento europeo ha approvato oggi a Strasburgo la relazione “sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati” dell’eurodeputato Andrea Zanoni (339 favorevoli e 293 contrari) concedendogli anche il mandato di iniziare le negoziazioni in prima lettura (332 favorevoli e 311 contrari) con Consiglio e Commissione europea. La valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati riguarda circa 200 tipologie di progetti, dalla costruzione di ponti, porti, autostrade, discariche di rifiuti, fino agli allevamenti intensivi di pollame o suini. Nei suoi 28 anni di applicazione, la normativa ha ricevuto solo 3 modifiche marginali.

“Maggior coinvolgimento dei cittadini, VIA obbligatoria per il gas di scisto, lotta al conflitto d’interessi, monitoraggio post opera, sanzioni per chi sgarra, stop alle deroghe, norme contro lo spezzettamento dei progetti ovvero contro il cosiddetto “salami slicing” e protezione della biodiversità sono solo alcune delle novità che prevede il testo adottato – spiega euforico Zanoni – Oggi al Parlamento europeo abbiamo compiuto un passo storico verso una maggiore tutela ambientale in Europa nel contesto della realizzazione delle grandi infrastrutture che troppo spesso vengono realizzate con poco se non scarso rispetto dell’ambiente e della salute dei cittadini. Inizierò i negoziati con le altre istituzioni forti di un consenso parlamentare che chiede maggiori tutele per l’ambiente in cui vivono 500 milioni di europei. Da Strasburgo arriva oggi una risposta sonora a tutte quelle lobby, e ai loro rappresentanti politici, che hanno cercato di far prevalere i loro interessi invece che il bene comune”, conclude l’eurodeputato.

PUNTI CHIAVE della NUOVA DIRETTIVA VIA approvata dal PARLAMENTO EUROPEO

Questi i punti chiave della nuova Direttiva Ue sulla VIA su cui Zanoni ha puntato:

1 – Conflitto di interessi
L’assoluta indipendenza dell’autorità competente dal committente deve essere assicurata. In alcuni casi, nonostante la separazione formale tra autorità competente e committente, in particolare quando quest’ultimo è un soggetto pubblico, si verifica spesso un’impropria commistione tra i due attori, tale da inficiare l’obiettività del giudizio.

2 – Sanzioni
Previsione di sanzioni proporzionate e dissuasive in caso di violazione alle norme nazionali che derivano da questa direttiva, compresi casi di conflitto d’interesse e corruzione.

3 – Gas di scisto
Includere nell’allegato I della direttiva (obbligatorietà di Valutazione d’Impatto Ambientale VIA) i cosiddetti “idrocarburi non convenzionali” ovvero gas di scisto e del gas naturale da giacimenti di carbone, sia nella fase di “estrazione” che in quella di “esplorazione” per evitare i danni della fratturazione idraulica.

4– Salami slicing
Prendere in maggior attenzione all’effetto cumulativo dell’impatto ambientale di più progetti nella stessa zona e azioni volte a contrastare il cosiddetto “salami slicing” ovvero lo spacchettamento di un singolo progetto in sotto pregetti per evitare l’obbligo di valutazione ambientale complessiva.

5 – Maggiori informazioni
Il committente deve fornire maggiori informazioni sui rischi per la salute della popolazione interessata da un determinato progetto e sulle eventuali ripercussioni sul paesaggio e patrimonio culturale circostrante.

6- Nuovi progetti sottoposti a VIA.
Oltre al gas di scisto, dovranno essere sottoposti a VIA obbligatoria (allegati I della direttiva) tutta una serie di progetti prima esclusi, come le demolizioni di precedenti strutture, parchi a tema (come acquatici, parchi divertimento, delfinari ecc,), campi da golf su terreni aridi e cave per estrazione dell’oro.

7 – Eliminazione delle deroghe
Non sono più concesse ai Paesi membri deroghe speciali per esentare determinati progetti dalla VIA con l’eccezione di quelle motivate con ragione di sicurezza pubblica.

8 – Coinvolgimento del pubblico
Rafforzare il ruolo del pubblico interessato in tutte le fasi della procedura in ottemperanza alla Convenzione di Århus. Una buona governance necessita di momenti di dialogo tra i soggetti interessati e di una procedura chiara e trasparente, rafforzando il sostegno alle decisioni adottate e riducendo il numero e i costi dei contenziosi legali che si riscontrano quando manca un’effettiva condivisione del progetto.

CRONOSTORIA della NUOVA DIRETTIVA VIA

Il 26 ottobre 2012 la Commissione europea ha presentato la sua proposta di modifica della Direttiva 2011/92/UE sulla VIA che ha introdotto nuovi fattori ambientali sui quali misurare l’impatto dei progetti come la biodiversità, l’uso efficiente delle risorse naturali e i rischi di catastrofi naturali e di origine umana tra i fattori sui quali si devono valutare gli impatti di un progetto. E’ stato poi per la prima volta avanzato il concetto di prendere in considerazione le alternative ragionevoli al progetto.

Il 17 dicembre 2012 Andrea Zanoni è stato nominato relatore della relazione sulla nuova VIA per il Parlamento europeo (commissione parlamentare competente è la ENVI Ambiente, e per parere la TRAN Trasporti e PETI Petizioni).

L’11 luglio 2013 la commissione ENVI Ambiente, Sanità Pubblica e Sicurezza Alimentare ha approvato (48 voti a favore e 15 contrari) la relazione “sulla proposta di direttiva del Paramento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati”.

La relazione sulla nuova direttiva VIA sarebbe dovuta essere votata nella sessione plenaria del Parlamento europeo di settembre 2013. Tuttavia l’ostruzionismo dei gruppi più conservatori e la formale richiesta di rinvio della Sinistra unitaria europea GUE ne ha posticipato la votazione ad ottobre.

Nella sessione plenaria di ottobre Zanoni ha proposto un emendamento, approvato da tutto il gruppo politico ALDE, per cercare una maggioranza più ampia a sostegno dell’inclusione della procedura di VIA obbligatoria anche per la “esplorazione, limitatamente alla fase che prevede l’applicazione di fratturazione idraulica, ed estrazione” del gas non convenzionali (scisto e gas provenienti da giacimenti di carbone).

Oggi mercoledì 9 ottobre 2013 il Parlamento europeo ha approvato la relazione di Zanoni e gli ha concesso pieno mandato di iniziare i negoziati con Consiglio e Commissione europea a nome del Parlamento europeo. La nuova direttiva VIA va quindi verso un accordo in prima lettura e l’entrata in vigore entro il 2016.

Ufficio Stampa Eurodeputato Andrea Zanoni
Email: stampa@andreazanoni.it
Blog: http://www.andreazanoni.it


ECOMAFIA, UN MONDO PARALLELO

Ecomafia, un mondo parallelo

ECOMAFIA, UN MONDO PARALLELO

October 17, 2013 · by Editor · in 

Collaborazione con “Tuttogreen” di Antonio Pergolizzi, coordinatore Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente:

Era il 1994 quando faceva la sua prima comparsa nel linguaggio corrente il termine ecomafia. Ci entrava a pieno titolo passando non da un’aula giudiziaria, ma da un dossier pubblicato da una associazione ambientalista, Legambiente, scritto per l’occasione con l’Arma dei carabinieri e l’Eurispes. Era il primo rapporto Ecomafia, che nel 2013 è giunto alla sua 20esima edizione. Più che maggiorenne. Era già chiaro allora, come lo è ancora di più oggi, che dietro il mondo dei rifiuti, del cemento, dell’agroalimentare, degli animali, dei beni culturali e paesaggistici e delle riserve idriche stava montando pericolosamente un business illegale che teneva insieme criminalità organizzata, anche mafiosa, con quel paludoso mondo delle professioni, dei colletti bianchi, dell’imprenditoria, della politica. Un grumo di interessi loschi e spavaldi che ancora oggi tiene sotto scacco l’intero paese, facendogli pagare un prezzo altissimo. Grumo che è potuto crescere e proliferare quasi indisturbato per decenni, grazie a un sistema repressivo carente, con una legislazione puramente formalistica e a tratti criminogena.

 

A differenza di altri settori criminali, chi si macchia di reati ambientali rischia, salvo qualche eccezione, solo una piccola contravvenzione. Esempio: se un’azienda scarica nell’ambiente sostanze tossiche o crea una discarica abusiva, al peggio sarà punita perché non ha rispettato i limiti tabellari sulle emissioni o perché non aveva le autorizzazioni per quel sito: non perché ha inquinato e possibilmente attentato alla vita dei cittadini. Così come non si è mai visto nessuno finire in galera per aver cementificato abusivamente chilometri di spiaggia o costruito orrendi e grigi parallelepipedi in mezzo a un’area archeologica o sopra il greto di un fiume in secca. Se si esclude, infatti, il delitto di traffico organizzato di rifiuti, che prevede la reclusione fino a 6 anni, per il resto sono solo tirate d’orecchi e impunità garantita. Se a questo si aggiungono i limiti nei sistemi di controllo, in cui incompetenza, inefficienza e corruzione fanno la differenza, il quadro della tutela ambientale dalla malapianta ecomafia è nel nostro paese è affatto disastrosa.

 

Il bello è che dopo vent’anni di denunce poco o nulla è stato fatto. Una ragione c’è. Non si può infatti colpire efficacemente l’ecomafia, e in genere la criminalità ambientale, senza far emergere una volta per tutte quel mondo parallelo che vive e vegeta all’ombra dell’ambiente, succhiando bellezza e salubrità a un Paese già in ginocchio. Un segreto inconfessabile che ha troppi complici e santi in paradiso. Senza i traffici illeciti di scarti industriali molti spavaldi imprenditori non girerebbero beatamente in Suv, così come senza le ruspe e le betoniere selvagge molte ditte non avrebbero bilanci in attivo e molti politici campagne elettorali ben pagate e dall’esito sicuro. Ecco perché non fanno tanto rumore le parole rilasciate in questi giorni a diverse testate giornalistiche dal collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, ex capo indiscusso del clan dei “casalesi”. E’ lui ad avere il copyright del modello “casalese” nei traffici illeciti di monnezza: usare ogni spicchio di terra per seppellirvi, fino a che c’è spazio, veleni provenienti da tutta Italia e pure dall’estero.

 

Seppellirli dopo aver rubato la terra per alimentare i cantieri edilizi, soprattutto illegali. Ha scaricato con le sue mani e visto con i suoi occhi, l’anziano Schiavone, raccontando tutto agli inquirenti, sin dal lontano 1996. Ha indicato con esattezza i luoghi dei seppellimenti, come il campo da calcio di Casal di Principe o la superstrada, compresa la terza corsia, che va da Pozzuoli a Nola, così come l’intero litorale Domitio Flegreo. Usare cave e cantieri pubblici per scaricare i veleni, scaricare finché tutto moriva intorno. Fino a lasciare dietro di loro solo deserto e alberi che sembravano “cristi in croce”, come ha lui stesso ricordato. Un film già visto, raccontato minuziosamente in ogni Rapporto ecomafia e nelle migliaia di pagine tra documenti e atti giudiziari. Ma nulla s’è mosso, quei veleni sono ancora lì. Nessuno li vorrà mai, secondo l’ex boss nemmeno lo Stato, che non avrà mai i soldi per bonificare realmente quell’inferno di pattume. Anche se il cancro sta divorando intere famiglie, mentre l’Italia accumula procedure di infrazione europee e lo sconcerto di mezzo mondo.

http://www.lastampa.it/2013/10/15/blogs/ecomafie/ecomafia-un-mondo-parallelo-P3DNcr5Es9H270jAIND6yI/pagina.html

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Dal 2006 Coordinatore Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente (cura la Redazione del Rapporto Ecomafia, oltre ai documenti e dossier in tema di criminalità ambientale). Autore del saggio/inchiesta “ToxicItaly”, uscito nel 2012 per Castelvecchi e con il quale nel 2013 ha vinto il Premio AcquiAmbiente dedicato alla sezione opere a stampa. Autore del “Dizionario Enciclopedico sulle mafie”, Castelvecchi 2013. Autore e consulente per la collana di romanzi di ecomafia noir “Verde Nero”, di Edizioni Ambiente e Legambiente. Giornalista pubblicista (Diario della settimana, Narcomafie, Left, La Nuova Ecologia, etc.). Autore di numerose pubblicazioni scientifiche (Cnel, European Parlament, Università di Camerino, etc.) e di video documentari. Docente in master, corsi e altre attività formative, anche universitarie. Laurea in Scienze politiche, Master in Relazioni Internazionali, Dottorando e junior researcher all’Università di Camerino. Consulente Unicri e Ministero Sviluppo Economico.


SENTENZA DI PRIMO GRADO SULLA MALAGESTIONE DELLA DISCARICA DI CÀ FILISSINE A PESCANTINA [VR]

Sentenza di primo grado sulla malagestione della discarica di Cà Filissine a Pescantina [Vr]

October 18, 2012 · by Gianni · in 

Condannati in primo grado il presidente della Daneco spa, Enrico Bruschi il direttore tecnico della stessa società, Bernardino Filipponi e il responsabile delle discariche della spa, Massimo Cozzi,  i dipendenti del Comune di Pescantina, Giorgio Sterzi  e Claudio Bordoni sono stati condannati a cinque mesi. Sei mesi all’allora dirigente della Provincia di Verona, Ferdinando Cossio. Secondo il capo d’imputazione non avrebbero mantenuto un sistema efficiente tale da impedire «la fuoriuscita del percolato e la sua infiltrazione nella falda freatica della discarica». Parliamo della sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale di Verona il 15 ottobre riguardo la gestione della discarica di Pescantina [Vr] sotto sequestro dal lontano 2006.

Gli impuati sono stati invece assolti dall’imputazione di disastro ambientale, mentre il dirigente dell’Arpav Ottorino Piazzi è caduta l’accusa di aver denunciato alla procura con ritardo l’inquinamento della falda freatica. «La sentenza che comunque conferma le ipotesi, in attesa delle lettura delle motivazioni, di disastro ambientale – sottolinea Lorenzo Albi, presidente di Legambiente Verona -, in realtà l’apparente scarsa portata delle condanne è riconducibile alla debolezza della legislazione Italiana relativamente ai reati ambientali: è più grave rubare un paio di jeans o una mela, magari per fame, che inquinare il corso di un fiume, o costruire abusivamente in area non consentita, o non gestire correttamente il livello di percolato in discarica aggravato, come nello specifico, dalla presenza della falda acquifera sottostante».

Secondo l’esponente ambientalista «l’adeguamento della nostra legislazione a seguito dell’ultimatum dell’anno scorso di Bruxelles all’Italia per la mancata adozione della norma comunitaria che introduce i reati penali in campo ambientale, è apparso un provvedimento di facciata, approvato col solo obiettivo di non incorrere nelle sanzioni. Il provvedimento italiano infatti è intervenuto solo su questioni marginali senza mai toccare il cuore del problema. I reati ambientali continuano a rientrare tra le contravvenzioni, le sanzioni non sono affatto dei deterrenti, i tempi di prescrizione bassissimi e non è stato previsto nulla per i reati nell’ambito del ciclo del cemento lasciando, di fatto, senza tutela il paesaggio e la fragilità geomorfologia e urbanistica dei territori. Paradossalmente, invece, si continua a “proteggere” chi costruisce abusivamente, ex novo o parzialmente, perché per questi reati non è prevista la reclusione”. Lo schema legislativo ha di fatto lasciato pressoché inalterate le cose e non ha introdotto né un inasprimento delle pene, né le nuove e necessarie fattispecie di reato connesse alla gestione dei rifiuti, per cui punire chi sversa veleni, chi libera sostanze nocive nell’atmosfera e chi le sotterra, rimane difficilissimo. Chi compie il reato di discarica abusiva, ad esempio, è punito con un’ammenda che va da 2600 a 26000 euro mentre chi realizza cave illegalmente paga al massimo 1.032 euro. Non introducendo poi nell’ordinamento italiano un testo unico per i reati ambientali, si è ancora costretti a fare riferimento a una giungla di articoli e commi, che rendono spesso molto complicati i procedimenti giudiziari anche in materia di disastri ambientali».

Nel frattempo la situazione a Ca’ Filissine si è aggravata ulteriormente, dato che da un anno non viene prelevato il percolato e si è esaurito il fondo “post mortem” che doveva servire per la gestione della discarica dopo la sua definitiva chiusura. «Le responsabilità quindi rimangono – denuncia Albi – proporre di ampliare la discarica per far fronte alle recupero delle risorse già vergognosamente depredate appare la peggiore delle soluzioni, dato che ARPAV già nell’ottobre dello scorso confermò ” una situazione di compromissione grave della falda”, con concentrazioni elevate e superiori al limite normativo in molti punti di prelievo, tra cui ammoniaca, ferro, cromo ect…. Auspichiamo quindi che la coscienza superi la fantasia e gli interessi e che qualsiasi intervento venga limitato alla immediata bonifica, individuando quali nuovi soggetti pubblici saranno chiamati a co-controllare e a presidiare il sito».

Legambiente, costituitasi parte civile con l’avvocato veronese Luca Tirapelle, ha visto riconosciuti 8mila euro di provvisionale

La recente sentenza prevede il dissequestro della discarica previa bonifica e disposizioni di Provincia e Regione.

 

http://www.osservatorioambientelegalitavenezia.it/sentenza-di-primo-grado-sulla-malagestione-della-discarica-di-ca-filissine-a-pescantina-vr/


Legambiente: “Fermiamo il consumo di suolo”

Legambiente: “Fermiamo il consumo di suolo”

“Chiediamo al Parlamento di approvare al più presto una legge che fermi il consumo di suolo e punti sulla riqualificazione energetica e antisismica del patrimonio esistente”

È ora di dire basta al consumo di suolo e di iniziare quella strada del cambiamento che si chiama rigenerazione urbana, un nuovo modo di concepire e tutelare il territorio e gli spazi urbani in chiave sostenibile. È questo l’appello che Legambiente lancia al Presidente del Consiglio Enrico Letta per chiedere a Parlamento e Governo una corsia preferenziale per discutere e approvare finalmente in questa legislatura una legge che fermi il consumo di suolo e premi, invece, la riqualificazione edilizia, energetica e antisismica del patrimonio edilizio esistente. Scelte nell’interesse dei cittadini in grado di rilanciare il settore delle costruzioni e l’economia del Paese e che l’associazione ambientalista spiega in “Fermare il consumo di suolo, rigenerare le città”. Un documento, inviato alle Commissioni parlamentari e al Governo, dove oltre ad analizzare il Disegno di Legge approvato dal Governo il 15 Giugno 2013 in materia di “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”, Legambiente propone integrazioni e modifiche normative per rafforzare l’efficacia dei controlli e spostare l’attenzione sulla rigenerazione urbana.

“Le nostre idee e proposte – spiega Edoardo Zanchini, vice-presidente di Legambiente – vogliono tenere insieme gli obiettivi di tutela e di riqualificazione del territorio ed incrociare alcune questioni come la grave crisi che sta vivendo  il settore delle costruzioni. E’ indispensabile lanciare un segnale chiaro al mondo dell’edilizia attraverso una Legge che sposti l’attenzione sulla rigenerazione urbana”. Nel documento Legambiente pone in particolare l’attenzione sulla necessità di un efficace monitoraggio del consumo di suolo, di limiti e controlli nei confronti dell’occupazione di suoli agricoli, di riuso del patrimonio non utilizzato e degradato, in modo da creare condizioni di vantaggio per una diffusa riqualificazione con obiettivi ambientali, energetici e antisismici e chiudere così il ciclo dell’espansione edilizia.

“Il suolo è un bene comune e una risorsa limitata e non rinnovabile – ha commentato Damiano Di Simine, responsabile suolo di Legambiente – Una legge che voglia fermare il consumo di suolo deve agire sulle cause che lo determinano, che sono legate alla formazione della rendita immobiliare. Se vogliamo fermare il consumo di suolo, è obbligatorio favorire la rigenerazione urbana: occorre sviluppare un nuovo equilibrio tra fiscalità e incentivi che renda attraente, efficace e più semplice l’investimento nella città, impedendo che i capitali in fuga dalla città producono anonime urbanizzazioni e piastre commerciali ai danni di campagne, coste e spazi aperti”.

L’associazione ambientalista propone in particolare di introdurre un contributo per il consumo di suolo e spostare le risorse sulla rigenerazione urbana, prendendo come punto di riferimento la normativa tedesca. Occorre inoltre fermare la speculazione sulla proprietà e edificabilità dei suoli, stabilendo che i piani urbanistici debbano avere un ruolo di solo indirizzo, spostando ai piani attuativi la definizione dei diritti edificatori. Ma per cambiare le nostre città, spostando l’attenzione degli imprenditori edili verso la rigenerazione urbana, occorre semplificare e incentivare gli interventi nelle periferie per trasformarle in quartieri con parchi e spazi pubblici degni di questo nome, abitazioni a prezzi accessibili.

 

Il documento “fermiamo il consumo di suolo” è scricabile al seguente link:

http://www.legambiente.it/contenuti/articoli/fermare-il-consumo-di-suolo-le-proposte-di-legambiente

 

L’ufficio stampa di Legambiente: 0686268353-76-99

Pubblicato il07 ottobre 2013

Inquinamento ed economia in Italia: nuove prospettive

 

Un problema cronico dell’Italia e non solo, riguardal’inquinamento dell’atmosfera, delle acque e del suolo, che sicuramente può essere correlato con il grave problema economico e della disoccupazione che hanno raggiunto livelli veramente tragici.

Penso, inoltre, che i tre problemi non possono essere risolti separatamente, ma presentano sicuramente una chiave di soluzione convergente. Riguardo all’inquinamento , proprio in questi giorni apprendiamo che secondo uno studio effettuato da un equipe di ricercatori europei, l’Italia sarebbe il paese più inquinato del vecchio continente. L’allarmante notizia è apparsa in questi giorni, sulle pagine del ”Lancet Oncology”. La ricerca è stata eseguita da un team di studiosi internazionale a cui ha preso parte anche un gruppo di ricerca dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Secondo i dati, per ogni incremento di 10 microgrammi di Pm 10 per metro cubo presenti nell’aria, il rischio di ammalarsi tumore al polmone aumenta di circa il 22%. Tale percentuale sale al 51% per una particolare tipologia di tumore, l’adenocarcinoma, un genere di tumore che si sviluppa, non a caso, tra tanti non fumatori.

È universalmente noto che la causa principale dell’inquinamento atmosferico, particolarmente critico nelle città e soprattutto nelle metropoli, è la combustione prodotta dagli autoveicoli e dalle industrie. La soluzione energetica circoscritta alle fonti tradizionali del carbone fossile e del petrolio è sicuramente inadeguata e destinata entro questo secolo a ridimensionarsi. Dovrebbe essere un bisogno naturale, per tutti quegli Stati che oltretutto ne sono sprovvisti, di invertire la tendenza e moltiplicare gli sforzi per limitare la dipendenza dai produttori di petrolio e investire, invece, sulle fonti rinnovabili d’energia e su quei meccanismi che a parità di resa necessitano di minor consumo di prodotti petroliferi.

Da qui la nostra ripetuta proposta di creare anche in Italia una politica seria per la produzione delle fonti d’energia rinnovabile come l’eolico, il solare, il geotermico, l’idroelettrico ( laddove è ancora possibile) e quello legato alla produzione dei rifiuti solidi urbani e di tutti i cicli di produzione agricola e industriale, che comunque dobbiamo smaltire e tanto vale ricavarne, almeno, un ulteriore vantaggio, seppur in parte altrettanto inquinante.

Dovremmo intervenire soprattutto sulla combustione dei motori degli autoveicoli: sappiamo di una sperimentazione avvenuta nell’università di Torino, se non erro anche in collaborazione con la Fiat, dove è stato sperimentato un prototipo ibrido di autovettura, che consuma solo 2 litri di carburante per 100 chilometri. Nei giorni scorsi abbiamo saputo di un’altra sperimentazione che ha visto protagonisti alcuni artigiani veneti e poli di ricerca universitari, che hanno realizzato un “kit” per convertire le vetture alimentate con combustibili tradizionali (benzina, gasolio) in auto elettriche.

L’obiettivo è quello di convertire un buon numero di automobili usate di proprietà delle amministrazioni comunali in auto elettriche. Per Confartigianato, l’iniziativa permetterà innanzitutto a chi non può permettersi l’acquisto di un’auto elettrica nuova, di poterne avere una convertendo, a costi contenuti, la propria vettura ad alimentazione tradizionale.

In secondo luogo, il progetto mira a rivitalizzare il settore del’artigianato locale costituito da tanti meccanici e elettricisti che stanno provando sulla loro pelle i danni dell’attuale dissesto economico nazionale e globale. Naturalmente con un adeguato sostegno statale o privato, il progetto potrebbe far nascere un nuovo polo industriale italiano, che porterebbe sicuramente un sollievo alla piaga della disoccupazione in ogni regione.

Ugualmente potrebbe ridimensionarsi il problema delladisoccupazione, diffondendo mini e maxi impianti di energia rinnovabile su ogni edificio pubblico e privato, favorendo così un’industria rigorosamente italiana, occupata da tecnici e progettisti italiani, che insieme a tutto l’indotto legato necessariamente al trasporto, all’installazione e alla manutenzione di questi impianti, favorirebbe anche la lotta contro l’inquinamento, altro problema segnalato all’inizio del nostro intervento.

Queste ci sembrano le vere scommesse per l’immediato futuro che dovrebbe sostenere il nostro governo, per la salvaguardia dell’ambiente, diminuendo concretamente le cause inquinanti e nel contempo per creare una valida alternativa nel campo dell’economia, limitando l’acquisto delle fonti energetiche tradizionali e dall’altro rinnovando un nostro mercato produttivo nel campo energia pulita e delle auto ibride ed elettriche.

Vogliamo far sentire ai nostri politici anche le nostre proposte e spingerli a lavorare sulle nostre indicazioni e prospettive? Dipende anche da noi quanto sappiamo alzare la voce e pretendere di essere ascoltati, piuttosto che sentire solo le loro sceneggiate, spesso volgari e da popoli sottosviluppati.

Organizzarsi in Comitati permanenti di proposte politiche è il primo passo verso la soluzione di tanti nostri problemi sociali.

 

Foto: EpSos.de/Flickr

Casa originale di questo articolo


L’allarme degli scienziati: restano dieci anni per salvare il pianeta

Tra pochi giorni (il 27 settembre) sarà presentato il rapporto dell’Ipcc (Intergovernament Panel on the Climate Change) – organismo scientifico dell’Onu che studia i cambiamenti climatici. Il rapporto è molto corposo (6 anni di lavoro, 209 scienziati e 1500 esperti collaboratori, per una produzione di oltre 2000 mila pagine) e impegnativo, ma girano già ampie anticipazioni.

 

 

 

Ne ha parlato Repubblica: si tratta di quattro scenari, modellazioni ricostruite per definire quello che potrebbe succedere. Due gli estremi: uno – favorevole – con aumento delle temperature di un gradorispetto al periodo 1986-2005 prevede un innalzamento dei mari di “soli” 24 centimetri e emissioni contenute entro il tetto di 421 parti per milioni di CO2. L’altro estremo – il catastrofico – prevede invece unaumento di 3.7°C con innalzamento dei mari di 62 centimetri, circostanze figlie di un incremento delle emissioni di anidride carbonica fino oltre 936 ppm.

Le emissioni crescono dal periodo pre industriale – in cui stavano intorno al valore di 280 – al ritmo di 2 punti all’anno, arrivando ad oggi intorno alle 400: l’obbiettivo del contenimento è il fine di un accordo climatico globale – che non avverrà prima del 2020.

Già, perché il team di scienziati ha individuato due problematiche che regolano il meccanismo della mutazione climatica. Le emissioni di CO2, troppe, e il tempo, troppo poco. La catastrofe climatica è stata definita dal rapporto “virtualmente certa” – termine forte, ma basato sulla proiezione quantitativa dei dati attuali – con un tempo per bloccarla di soli dieci anni. Il taglio, drastico, delle emissioni dovrà riguardare essenzialmente l’uso di combustibili fossili responsabili per l’89 per cento insieme alla produzione di cemento, e il blocco della deforestazione, che contribuisce in gran parte al restante 11 per cento.

L’Ipcc ha usato parole molto dure nei confronti della possibilità che si verifichi lo scenario 4, quello più catastrofico: “In questo caso l’impatto sulla vita del pianeta sarebbe pesantissimo: i biologi ormai parlano di sesta estinzione di massa“. La stessa Banca Mondiale in un rapporto del novembre passato dal titolo “Quei devastanti 4 gradi in più”, aveva messo in allarme sulla possibilità che il riscaldamento superasse il muro dei 4 gradi in più, rispetto all’epoca pre industriale – circostanza che si verificherebbe proprio con lo scenario peggiore proposto da Ipcc.

La via di autoriduzione intrapresa da alcuni dei governi dei paesi più industrializzati (Usa, Cina, India, Brasile) con l’accordo di Copenaghen del 2009 non ha portato risultati positivi: in realtà le emissionisarebbero comunque in aumento del 2 per cento annuo. Così che la quota delle 421 ppm potrebbe essere superata “dall’inerzia di un sistema energetico che continua a puntare su carbone, petrolio, gas tradizionale e shale gas” scrive Cianciullo su Repubblica.Obama ha scommesso molto del suo nuovo mandato sulla questione climatica – ed energetica. Scommessa depositata sul piatto con quell’attesissimo discorso alla Georgetown University di fine giugno. Parole che hanno però lasciato moltianalisti interdetti, proposte e considerazioni poco operative, di lunga realizzazione – molti lo hanno definito “un testamento” più che un piano programmatico.Ma il tempo a quanto sembra sta imponendo il suo inesorabile tic-tac. Anche se c’è chi sostiene, che allarmi del genere furono già lanciati: per esempio ventiquattro anni fa, toccò al Worldwatch Institute dire che “Restano dieci anni per salvare la Terra”, e invece.Ma forse adesso, è arrivato il momento di smettere di scommettere.

 

@danemblog

 

http://www.agoravox.it/L-allarme-degli-scienziati-restano.html


Scorie d’Italia

Scorie d’Italia

Pubblicato da Laura Pulici su 23 settembre 2013

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AMBIENTE –

A fine luglio, in piena notte, un container con materiale nucleare esce dal centro Itrec di Trisaia di Rotondellae, scortato dalla forze ordine, si dirige verso un aeroporto militare. Il carico viene trasferito su un aereo che si allontana. Due giorni dopo, il mistero viene svelato dalla Sogin, la società italiana specializzata nella bonifica di siti nucleari: un’operazione di “rimpatrio negli Usa di materiali nucleari sensibili di origine americana, che erano custoditi in appositi siti  in Italia per attività di ricerca e di sperimentazione”.

Dopo il no al nucleare del 1987, l’Italia ha dovuto avviare e pianificare una strategia per la gestione dei rifiuti radioattivi derivanti dal pregresso programma nucleare. A oggi, secondo gliultimi dati forniti dall’Ispra, le scorie nucleari ammontano a più di 28.000 metri cubi, di cui 26.500 a bassa e media attività e 1.700 metri cubi ad alta attività. A questi si aggiungeranno altri 30.000 metri cubi provenienti dalle operazioni di smantellamento e bonifica delle installazioni nucleari. La maggior parte di questi rifiuti radioattivi si trovano nelle ex centrali nucleari (Caorso, Garigliano, Latina e Trino Vercellese) e negli impianti di ricerca (Saluggia, Trisaia Rotondella, Casaccia, Saluggia, Ispra).  Infine, è atteso anche il rientro in Italia di alcune decine di metri cubi di combustibile radioattivo spedito in Gran Bretagna e in Francia per essere riprocessato.

Ma il conto non finisce qui. Oltre ai  rifiuti di tipo energetico, ci sono altri 4.000 metri cubi provenienti da applicazioni  mediche, industriali e di ricerca. E ogni anno se ne aggiungono alcune centinaia.

http://oggiscienza.wordpress.com/2013/09/23/scorie-ditalia/#more-42322


Sviluppo sostenibile: fra strumentalizzazioni, impegni europei, sen, sussidi alle rinnovabili e carbone

Intervista di Orizzontenergia all’Ing. Giuseppe Girardi, Vice Presidente SOTACARBO
Dirigente di Ricerca, Coordinatore Impiego Sostenibile dei Combustibili Fossili, ENEA

Negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare di scelte energetiche per lo Sviluppo Sostenibile del Paese. Ma in termini pratici questo che cosa significa?

Lo sviluppo sostenibile fu introdotto nel rapporto “Our Common Future” del 1987 come uno sviluppo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». Il concetto, definitivamente lanciato alla Conferenza di Rio su ambiente e sviluppo del 1992, mette in stretta relazione tre aspetti di fondamentale importanza: quelloeconomico, quello ambientale e quello sociale.

Parlando di sviluppo sostenibile si evoca un approccio multidisciplinare la cui ultima finalità prevede, fra l’altro, di interrompere il degrado del patrimonio e delle risorse naturali (che di fatto sono esauribili) ed un loro utilizzo più efficiente anche per meglio controllare e ridurre sempre più il carico verso l’ambiente in termini di emissioni in atmosfera.

Se prendiamo in considerazione il fattore umano, il traguardo da raggiungere è l’aumento equo del tenore di vita dell’intera popolazione del Pianeta che, guardando al tema energetico, vuol dire sia sicurezza di approvvigionamento delle fonti e disponibilità di elettricità, sia solidità dei sistemi industriali. Come si vede è un tema che afferisce agli economisti, e dunque la questione dello sviluppo sostenibile non è da considerarsi come un concetto astratto e “filosofico”.

Focalizzando l’attenzione sul tema energetico, un importante documento europeo al quale fare riferimento è il noto Libro Verde – Un quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030, presentato lo scorso marzo al Parlamento Europeo e sul quale si sta ancora discutendo. In esso si affronta il tema della sostenibilità vista come la sintesi tra sostenibilità ambientale, sicurezza degli approvvigionamenti energetici e competitività economico-industriale. Nello specifico, il tema ambientaleha a che fare con la riduzione delle emissioni in atmosfera, sia di inquinanti che – principalmente – di anidride carbonica, la riduzione del consumo di energia e quindi l’efficienza energetica, ed ovviamente lo sviluppo delle rinnovabili.

Parlando invece di sicurezza degli approvvigionamenti energetici, bisogna guardare alla diversificazione delle fonti di energia, sia per quanto riguarda le regioni d’origine che la logistica.

Un altro aspetto da non sottovalutare riguarda la stabilità delle reti e la risoluzione degli attuali problemi legati all’intermittenza e alla variabilità dell’energia elettrica prodotta dalle fonti rinnovabili. Questo richiama quindi l’esigenza di adeguare le infrastrutture. Infine, la competitività comporta ad esempio l’abbassamento dei prezzi dell’energia, lo sviluppo di nuove tecnologie, la creazione di nuovi posti di lavoro, il sostegno alle politiche industriali ovvero l’aumento dell’efficienza tecnologica. .

 

Digitando sul web le parole “Sviluppo Sostenibile” compaiono schermate di immagini dal colore verde per lo più legate al concetto di ambiente. La figura dell’uomo non compare. Cosa ne pensa in merito?

Purtroppo, negli ultimi decenni, il concetto di sviluppo sostenibile è stato spessostrumentalizzato e divulgato in maniera parziale. Ad oggi vi sono infatti diverse interpretazioni di tale concetto, che non rispecchiano appieno il suo senso vero ed il significato che ne danno gli economisti: le reali finalità sono quelle di governare in maniera equilibrata e sinergica le tre complessità del sistema prima citate.

In svariati casi l’attenzione è univocamente rivolta all’ambiente, oscurando prepotentemente gli aspetti economici e sociali; sul fronte opposto si condizionano le scelte alla sola “sostenibilità economica”. Insomma, oggi tutti parlano di sviluppo sostenibile con accezioni anche contrapposte. Esemplare è il “Caso Ilva”. Non bisogna affatto abbassare la guardia sul fronte ambientale, anzi lì bisogna intervenire ripristinando addirittura la legalità, ma sicuramente bisogna tener in debito conto le drammatiche implicazioni sociali ed economiche, legate quest’ultime al mantenimento di un settore strategico come quello della siderurgia ed al suo potenziamento. In generale penso che forzature univoche ed estremizzazioni dal punto di vista ambientale non portano alla risoluzione dei problemi, specialmente quelli ambientali.

A suo parere quali sono gli aspetti positivi/negativi delle politiche di sussidi attuate a sostegno delle FER? In Italia sono state fatte scelte giuste?

Anche in questo caso assumerei come riferimento dei documenti europei. In primis la Roadmap dell’energia al 2050 che pone come target europeo la riduzione entro il 2030 delle emissioni di gas serra del 40% rispetto ai valori del 1990 per poter conseguire una riduzione dell’80-95% entro il 2050, in linea con l’obiettivo concordato a livello internazionale di limitare il riscaldamento globale a 2º C. Ciò a partire dai ben noti Obiettivi 20-20-20 da conseguire entro il 2020: riduzione del 20% delle emissioni di CO2; aumento al 20% della quota di fonti rinnovabili nella copertura dei consumi finali; riduzione del 20% dell’utilizzo dell’energia / incremento in termini di efficienza.

Premesso che quello sulle fonti rinnovabili è un obiettivo sul quale non si può tornare indietro e metterlo in discussione significherebbe estraniarsi da un cammino di sviluppo tecnologico che rappresenta il futuro di molti Paesi, ci sono anche altre considerazioni da fare. Negli scorsi giorni il Presidente Obama ha rilasciato due interventi forti.

Il primo nel quale ha consolidato la volontà degli Stati Uniti di puntare sul gas naturale ed in particolare sulle enormi riserve del cosiddetto shale gas, dal momento che tale fonte, negli USA, costa molto poco (ad esempio circa un quinto di quanto costa in Europa); non è un caso che già nel 2012 una progressiva sostituzione del carbone con tale fonte decisamente molto meno onerosa, ha consentito un incremento (valutato in un punto) del PIL della Nazione.

Accanto a questo gli USA si propongono di puntare fortemente anche su efficienza energetica e rinnovabili. In questo caso la politica energetica americana, nella decisione di ridurre l’uso del carbone per la generazione di energia elettrica, ha sostanzialmente perseguito un obiettivo economico, di riduzione dei costi; e, insieme alla spinta sulle rinnovabili, consentirà all’industria americana di essere più competitiva sul mercato globale dell’impiantistica energetica dei prossimi anni e decenni. L’oggetto del secondo intervento è invece stato il cosiddetto progetto Africa Power, tramite il quale verranno messi a disposizione del continente africano 14 miliardi di dollari – tra fondi pubblici ed investimenti privati – allo scopo di adeguarne le infrastrutture ed impedire al Paese di seguire le stesse traiettorie inquinanti seguite dall’Occidente.

Ne consegue la promozione dello sviluppo di tecnologie USA vendibili sul mercato internazionale, in preparazione di eventuali inasprimenti futuri delle normative internazionali sulle emissioni. Anche in questo caso le scelte effettuate sono dettate da ragioni di competitività sul mercato. L’aspetto competitività non va quindi sottovalutato né nel settore dei combustibili fossili né in quello delle rinnovabili, in particolare guardando al mercato globale.

L’Italia nel sostegno alle FER ha scelto di prendere ad esempio la Germania, dove le politiche di sussidio economico alle rinnovabili ne hanno favorito la diffusione ed allo stesso tempo hanno posto le basi per lo sviluppo di un industria nazionale. Questo è quello che è avvenuto in Germania.

Purtroppo in Italia nonostante gli ingenti incentivi erogati alle rinnovabili – per le quali vi è stato di fatto un inaspettato boom di applicazioni – questi non hanno portato allo sviluppo di un’industria di qualità. A trarne vantaggio sono invece state le finanziare e i fondi d’investimento, con speculazioni a volte di portata davvero enorme. È stata fortemente criticata la politica deli incentivi in Italia. Io penso che vada criticato il loro uso irrazionale: essi hanno un senso, e possono svolgere una funzione essenziale per la competitività (vedi Germania), purché il processo sia ben governato nella sua complessità.

Un aspetto della complessità è rappresentato dallainadeguatezza della nostra rete a gestire un carico così importante di energia intermittente: è un problema enorme, che non può essere sottovalutato. Questo si lega all’articolazione del nostro parco di centrali termoelettriche e alla necessità di tenerlo in considerazione per gestire il processo di transizione ad un nuovo assetto della produzione verso una società sempre meno basata sul carbonio: in sintesi,non si può pensare solo alle FER senza tener conto del contesto. Nel nostro Paese, l’inattesa penetrazione delle rinnovabili nella rete, per effetto delle priorità di dispacciamento, ha infatti condotto ad una crisi di diversi impianti termoelettrici, con una sensibile riduzione del loro funzionamento medio annuo. Basti pensare che i parchi termoelettrici a gas di Enel si attestano in media al di sotto delle 2.000 ore annue. Ciò sta comportando una profonda crisi di quel settore, anche occupazionale.

Detto ciò, cosa ci prospetta il futuro dell’Italia? Anche in relazione all’utilizzo del carbone per la generazione elettrica?

Per effetto della politica americana che si è rivolta alle riserve di shale gas, si sono resi disponibili sul mercato internazionale quantitativi di carbone elevatissimi. Conseguenza diretta è stata la diminuzione del costo del carbone in Europa (specialmente in relazione al gas naturale), tant’è che nel 2012 vi è stato un vero e proprio boom nella realizzazione di tali impianti. Considerando inoltre l’attuale andamento di mercato (che dovrebbe mantenersi similare anche nei prossimi decenni), è ragionevole pensare che sul piano economico gli impianti a carbone potranno costare meno di quelli alimentati a gas naturale. Naturalmente ciò non vuol dire, a mio parere, che il nostro Paese debba puntare maggiormente sul carbone, ma piuttosto occorre mantenere stabile la quota di elettricità proveniente da esso, come previsto dalla SEN (Strategia Energetica nazionale). In sintesi, non penso che occorra aumentare il parco impianti a carbone, ma un retrofitting o sostituzione di quelli vecchi sì.

Per sostenere tale settore bisognerebbe pensare ad interventi di miglioramento tecnologico utili ad abbassare i costi ed ottenere energia più pulita. Due le vie: una è quella dello sviluppo di tecnologie che siano allo stesso tempo più efficienti e meno inquinanti, le cosiddette HELE – High-Efficiency, Low-Emissions; l’altra è quella delle CCS – Carbon Capture Storage. Entrambe rappresentano un’opportunità enorme.

Se una delle priorità a livello globale è quella di produrre energia elettrica“pulita” e a basso costo, è necessario puntare – specialmente per noi italiani – alla innovazione degli impianti guardando ai costi di generazione, e alle emissioni (tecnologie HELE e CCS) per mantenere la competitività complessiva del nostro sistema industriale in ambito internazionale: non possiamo permetterci il lusso di perdere anche ilsettore dell’impiantistica energetica, destinato ad essere profondamente mutato sotto la spinta, appunto, delle tendenze internazionali e delle politiche energetiche praticate da aree strategiche (Cina e India in primis) che continueranno ad impiegare per svariati decenni combustibili fossili ed in particolare carbone.

Qual è lo scenario internazionale attuale della cattura e sequestro della CO2, particolarmente in relazione alla generazione elettrica da carbone? Quando e in base a quali condizioni questa tecnologia troverà applicazioni industriali?

Posso dire di avere un quadro abbastanza completo di quanto sta accadendo in questo settore, essendo delegato italiano nel Working Party sui Combustibili Fossili dell’IEA, nel Carbon Sequestration Leadership Forum e nel gruppo europeo del Set Plan sulle iniziative industriali CCS. In primis va detto che l’obiettivo che ci si pone è quello di rendere utilizzabile industrialmente le CCS a partire dal 2030. Per questo occorrono non solo molta ricerca e sviluppo, ma anche impianti dimostrativi su scala industriale dotati di questa tecnologia, affiancati ovviamente ad un’opportuna normativa ed interventi politici: da quest’ultimo punto di vista sono d’esempio la Carbon Tax norvegese sulle emissioni di carbonio piuttosto che l’ETSeuropeo, ma ovviamente è necessaria una normazione internazionale abbastanza omogenea.

Vorrei ribadire che in un’ottica di raggiungimento dei citati target europei di riduzione delle emissioni al 2050, occorrono comunque interventi “a ventaglio”, che consentano in primo luogo di incrementare le rinnovabili e l’efficienza energetica ma anche di introdurre la tecnologia delle CCS che può contribuire per almeno il 20% al conseguimento dell’obiettivo. Occorre, però, superare gli attuali limiti, ovvero quello deicosti e quello dell’accettabilità sociale. Partiamo dal primo limite. Come emerso da un recente studio effettuato dalla piattaforma tecnologica europea ZEP (Zero Emissions Fossil Fuel Power Plants), il costo medio per catturare e stoccare l’anidride carbonica, varia dai 60-70$ agli oltre 100$ a tonnellata di CO2.

L’obiettivo è quello di ridurlo a 40$. Questo sarà possibile solo grazie allo sviluppo di sistemi più efficienti, attraverso attività di ricerca e sviluppo e attraverso la realizzazione di impianti industriali pilota e dimostrativi di grande taglia. Sul fronte invece dell’accettazione sociale le maggiori preoccupazioni riguardano le possibili conseguenze di eventuali fuoriuscite incontrollate della CO2 iniettata nel sottosuolo. Va detto in tal senso che molte sono le conoscenze già acquisite sia da un punto di vista tecnologico (messa a punto di sistemi di monitoraggio) che geologico.

Già da tempo si utilizza infatti l’anidride carbonica per aumentare la produttività dei pozzi di petrolio avvalendosi della tecnologia EOR – Enhanced Oil Recovery, e sono in corso nel mondo moltissime iniziative industriali volte a dimostrare la fattibilità di tali applicazioni in giacimenti acquiferi salini e pozzi depleti.

Il punto centrale è avviare una vera ed efficace politica di “partecipazione”, che interessi i cittadini e le Istituzioni locali, basata su un’azione di informazione seria ed autorevole sulle tecnologie e tutte le relative implicazioni; occorre riuscire a comunicare e a dialogare con la popolazione e gli amministratori, senza reticenze, senza negare i problemi e allo stesso tempo dando conto delle garanzie di sicurezza basate sulle conoscenze e sulle precauzioni che si possono e devono adottare: è l’unica strada, non solo in questo settore specifico, per poter dare vita a nuovi investimenti e ad un numero maggiore di applicazioni dimostrative. Nel nostro Paese è comunque già in essere un’importante iniziativa in questo settore, che spazia dalla ricerca e sviluppo, alla dimostrazione su scala industriale, fino alla formazione-informazione e crescita dell’accettabilità sociale.

Ci troviamo nell’area del Sulcis, nel territorio Sud Ovest della Sardegna: un’area che si presta molto bene allo stoccaggio dell’anidride carbonica in quanto è una zona non sismica e presenta formazioni acquifere saline considerate le più idonee per lo stoccaggio della CO2.

Inoltre, al di sopra di tali acquiferi salini troviamo strati di carbone non utilizzabili. Tutte queste condizioni consentono di sperimentare simultaneamente due differenti tecnologie di stoccaggio: l’iniezione in acquiferi salini e lo stoccaggio in giacimenti no sfruttabili di carbone  Enhanced Coal Bed Methane – tramite il quale si pompa CO2 negli strati di carbone liberando il metano lì presente.

Il secondo aspetto importante che ritroviamo in tale area è l’assenza di ostilità sociali e politiche locali. Ci troviamo infatti in un’area che storicamente ha impostato la sua attività economica sul carbone e che attualmente è affetta da una clamorosa deindustrializzazione, e la cui popolazione è pertanto maggiormente aperta a questo tipo di impianti dimostrativi. Su tale base il Governo ha stipulato un accordo con la Regione Sardegna, il cosiddetto Piano Sulcis. In quest’ambito è prevista la realizzazione di un polo tecnologico per lo sviluppo di energie “zero emission”, facendo riferimento al carbone e guardando anche alle rinnovabili ed alla loro integrazione con impianti a combustibili fossili.

Caratteristica essenziale del piano è di operare sui tre pilastri che portano all’innovazione industriale: studi e sperimentazione su attrezzature da laboratorio, sviluppo delle tecnologie con attività su apparati pilota di taglia rilevante, e qualificazione e trasferimento mediante realizzazione ed esercizio di impianti industriali dimostrativi. Tale piano si basa sull’esperienza e le infrastrutture già presenti presso Sotacarbo e sugli studi in corso su svariate tecnologie sia di cattura che di stoccaggio della CO2, e anche sulla produzione di nuovi combustibili liquidi e gassosi a partire da carbone e alla cosiddetta “poligenerazione”. Il piano vuole valorizzare e promuovere l’industria italiana e lo sviluppo delle tecnologie per consentire al settore manifatturiero termoelettrico di competere sul mercato internazionale: anche per questo si pensa alla realizzazione di un impianto pilota di 50 megawatt basato sulla tecnologia di ossicombustione: una tecnologia con brevetto italiano sviluppata da ITEA (gruppo Sofinter), che ha già destato l’interesse di Enel e anche del Department of Energy americano. Nel campo dello stoccaggio, poi, è previsto un ampio programma volto alla sperimentazione e caratterizzazione del sito Sulcis per l’iniezione di CO2 in “acquiferi salini” e in strati di carbone con possibile estrazione di metano (la cosiddetta tecnologia ECBM:Enhanced Coal Bed Methane): è un’opportunità enorme quella di poter sperimentare due soluzioni tecnologiche nello stesso sito, che peraltro ha caratteristiche geologiche di grande pregio, essendo anche in zona non sismica, ed è di sicuro interesse in ambito comunitario.

Da ultimo, si pensa anche alla possibilità di realizzare un dimostrativo industriale di taglia medio-piccola (potenza intorno a 350 MWe) dotato parzialmente di sistemi CCS di taglia intorno a 70 MWe. Infine, per chiudere la catena dell’innovazione, si andrà ad aggiungere a ricerca, sviluppo e dimostrazione anche la formazione, con la nascita di un polo di riferimento tecnico scientifico.

Già da fine luglio di quest’anno partirà infatti la prima edizione dell’International Summer School sulle CCS che durerà 4 giorni e vedrà la partecipazione di una trentina di studenti. L’idea è quella di trasformare l’area del Sulcis in un centro internazionale di riferimento tecnico scientifico e perché no in una meta per un turismo d’élite a carattere scientifico. Un passo importante verso la sostenibilità del Paese, con l’auspicio che un progetto culturale e scientifico di tale calibro possa favorire anche a livello nazionale l’accettazione sociale di tale tecnologia.

Foto: P. Put/Flickr


La Green Economy potrebbe generare fino a 2 milioni di posti di lavoro

La Green Economy potrebbe generare fino a 2 milioni di posti di lavoro

I risultati ottenuti da un’indagine dell’ILO recita: “Il passaggio verso una economia più verde potrebbe generare tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent’anni (…)”. Uno studio di Federico Pontoni e Niccolò Cusumano – Green economy: per una nuova e migliore occupazione – mette in luce dati molto interessanti anche per l’Italia.

Nel Belpaese amiamo abusare di definizioni e parole, rendendo spesso ridondanti e vuote frasi che in sé contengono invece tante opportunità e straordinarie possibilità per il domani di questa nazione e dei suoi cittadini.

Per questa ragione preferisco partire dall’inizio, ossia dalla definizione di Green Economy: “Un’economia fatta di imprese, piccole, grandi o artigianali, e soprattutto di consumi il cui impatto ambientale non solo sia accettabile per il nostro ecosistema, ma si preoccupi addirittura di migliorare le passività ambientali generate dall’azione umana, ponendo nuove basi per la crescita felice dei nostri sistemi sociali ed economici puntando al benessere di tutti”.

Questa è chiaramente solo una delle tante definizioni possibili. In particolare, si traduce nella mia interpretazione personale di quella che sempre più si sta sviluppando come filosofia della “Pull Economy”, dove il cliente regna sovrano e la reputation dei produttori non può precludere da comportamenti eticamente ed ambientalmente sani. Un esempio su tutti è quello dei grandi brand come Apple, Ford, Ikea, che ogni anno attraverso le proprie dichiarazioni di intenti e le scelte di politica ambientale si impegnano ad usare materie prime derivate dal circuito del riciclo e a diminuire l’uso di elementi tossici o la produzione di CO2.

Ma ora torniamo a casa nostra. Cosa significa in Italia Green Economy? Lo raccontano, tra gli altri, due giovani ricercatori, Federico Pontoni e Niccolò Cusumano, nel loro studio “Green economy: per una nuova e migliore occupazione”, dove in maniera sintetica e puntuale hanno sviluppato un’ipotesi che, partendo dal presente per arrivare fino al 2020, pone uno scenario base secondo cui un’Italia obbligata a raggiungere gli obiettivi europei già in essere potrebbe sviluppare circa 1.397.000 nuovi posti di lavoro tra occupazione diretta, indiretta e indotta dalle attività ambientalmente sane.

Nella ricerca dei due giovani studiosi si dimostra quanto un’economia sostenibile generi ricchezza: per ogni milione di euro di fatturato generato dalle attività Green in Italia si producono 2,7 milioni sulla nostra economia. Per darci un’idea del valore di queste affermazioni si pensi che il turismo ad esempio, ha un rapporto di moltiplicazione pari soltanto a 1.

Lo studio ascende a due ipotesi, dove si prevedono due scenari, uno più moderato ed un altro più ottimistico in relazione agli investimenti che verranno realizzati nel settore nei prossimi anni, che vanno da un minimo di 28,3 miliardi di euro l’anno ad un massimo di 34 miliardi di euro l’anno per i prossimi 20 anni. La conseguenza? A seconda dello scenario più o meno favorevole, una forbice occupazionale che genererà direttamente da 173mila a 591mila nuovi posti di lavoro, diventando un vero e proprio motore di crescita per il PIL nazionale, sul quale inciderà per circa il 7,5% nei prossimi anni.

Ma come ottenere in tempi di crisi questo vero e proprio miracolo? Le ricette purtroppo restano sempre le stesse: nuovi strumenti di credito alle imprese che realizzino investimenti in formazione, in innovazione tecnologica e ricerca scientifica;sburocratizzazione delle attività che incentrano il proprio business sull’attenzione all’ambiente; obbligare le amministrazioni pubbliche a rispettare le leggi dello stato nell’uso di materiale proveniente dal riciclo e nell’obbligo dei Comuni grandi e piccoli a realizzare una raccolta differenziata al 65%; creare vantaggi reali per chi si impegna a rispettare l’ambiente, evidenziando la preferenza sui bandi pubblici per aziende certificate e qualificate sotto il profilo ambientale; promuovere con decisione tutte le attività che si preoccupino di valorizzare gli scarti e riconvertirli in materie prime utili per la produzione, per evitare il Dump Waste Landing, ossia lo smaltimento in discarica. Insomma, per una volta non solo predicare ma soprattutto fare bene…

A tutti quelli che discutono continuamente di Green Economy e dei suoi vantaggi raccomando dunque la lettura dello studio di Pontoni e Cusumano nel quale è messo nero su bianco quali sono le opportunità di uno sviluppo sostenibile, in particolar modo sotto il profilo occupazionale, vera drammatica emergenza di questo triste presente. Una buona politica dei territori dovrebbe velocemente dare seguito a queste opportunità, magari ragionando anche dei risultati ottenuti da un’indagine dell’ILO (l’Organizzazione internazionale del lavoro, un’agenzia Onu) che recita: “Il passaggio verso una economia più verde potrebbe generare tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent’anni e aiuterebbe decine di milioni di lavoratori ad uscire dalla povertà”. Insomma non sembrano esserci evidenti controindicazioni se non una: il tempo.

 Come ogni tipo di sviluppo, anche quello Green vive del proprio tempo, e sprecarlo come siamo abituati a fare in Italia non solo non ci aiuterà a perseguirlo, ma ci farà rischiare di danneggiare sempre più non solo la nostra economia, ma anche la nostra gente, il nostro ambiente. Leggiamo ogni giorno di quanti si fanno ancora scudo con quel “no a prescindere” su ogni argomento, che ha bloccato ed ancora blocca la modernizzazione del nostro paese, dalla riforma costituzionale all’installazione di questo o quello stabilimento o infrastruttura. Si proceda, con attenzione, con rispetto delle regole, ma si proceda subito, per non restare gli ultimi della classe, per non continuare a perdere pezzi del nostro futuro, del nostro territorio e per dare sfogo alla nostra genialità, creatività, voglia di fare…

I maggiori economisti del mondo, e tra questi soprattutto Jeremy Rifkin, sono da tempo d’accordonell’indicare nell’Italia la piattaforma di lancio di una nuova rivoluzione industriale, di un nuovo spirito “Labor Intensive”. Questo per la sua conformazione geografica, per le sue straordinarie menti, per la nostra capacità di essere flessibili, per la nostra necessità di crescere e di proteggere un paese a ragione definito tra i più belli del mondo.

Ma mentre occhi estranei sembrano vedere in noi il seme del progresso, noi continuiamo a vivere di un passato che ormai sa solo divorare il suo futuro…

http://www.agoravox.it/La-Green-Economy-potrebbe-generare.html


LEGAMBIENTE: PER I CLAN UN GIRO D’AFFARI DA 17 MILIARDI. LE MAFIE NON CONOSCONO RECESSIONE

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Ammonta a quasi diciassette miliardi il giro d’affari per le mafie italiane che non sentono il morso della crisi e che, anzi, nella crisi trovano spazi per proliferare. Senza vincoli fiscali e burocratici, l’economia sommersa galoppa, mentre quella legale cortocircuita.

A denunciarlo è Legambiente, che nel consueto rapporto annuale, Ecomafie 2013, restituisce l’istantanea di un paese in cui si compiono 94 reati ambientali al giorno, 34.120 in un anno. E in cui i medesimi vengono ancora sanzionati in forma minore mentre rimane pendente l’inserimento nel codice penale dei delitti ambientali già previsto in un disegno di legge approvato nel 2007 nel governo Prodi e ripresentato in questa legislatura dal presidente della commissione ambiente della camera Realacci. Non esattamente un deterrente per il circuito criminale che fa perno sulle mafie.

Sono dunque un pò più di 34mila gli ecoreati certificati nel nostro paese nel 2012, 161 le ordinanze di custodia cautelare, 8.286 i sequestri, 16, 7 miliardi il business gestito da 302 clan, sei in più rispetto al 2011. Quasi il 46 per cento è concentrato nelle regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, ancora al primo posto sia per il ciclo dei rifiuti sia per il ciclo del cemento, Sicilia, Calabria e Puglia); seguono il Lazio, dove i registra un incremento del 13 per cento e la Toscana, con una crescita del 15,4 per cento. Prima regione del nord è la Liguria, con il 9 per cento in più rispetto all’anno precedente, anche se il Veneto sale di quasi il 19 per cento.

Buona parte del profitto mafioso arriva da appalti e opere pubbliche (6,7 miliardi di euro), seguono la gestione dei rifiuti speciali (3,1 miliardi) gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica (2,5), l’abusivismo edilizio (1,7 miliardi). L’incidenza dell’edilizia illegale nel mercato delle costruzioni è passata dal 9 per cento del 2006 al 16,9 stimato per il 2013. Rispetto alla flessione delle nuove costruzioni legali (il 50 per cento in meno) quelle abusive tengono (dal 2006 a oggi sono passate da 30mila a 26mila), mentre dal 2003 al 2012 sono stati quasi 300mila i nuovi edifici illegali per un fatturato complessivo di 19, 4 miliardi di euro. Il mercato tiene perché un alloggio “in nero” si può realizzare con un terzo dell’investimento.

Ma la criminalità ambientale si alimenta anche di nuove opportunità. L’Ufficio centrale antifrode del’Agenzia delle dogane segnala che i quantitativi di materiali sequestrati nei porti italiani nel 2012 sono passati da settemila a 14mila tonnellate, un raddoppio dovuto soprattutto ai cosiddetti cascami, vale a dire quei materiali che dovrebbero entrare nell’economia legale del riciclo e che invece finiscono a Hong Kong, in Cina, in Corea del Sud, In Indonesia. Un business che garantisce enormi guadagni ai trafficanti e un doppio danno all’economia legale, perché vengono pagati i contributi ecologici per il trattamento e il riciclo  – che non si fanno – e rimangono penalizzate le imprese che operano nella legalità.

L’altra piaga italiana, già più volte denunciata dalla Corte dei Conti, è la corruzione, in crescita costante. Si legge in Ecomafie 2013: «Secondo la relazione al parlamento della Dia relativa al primo semestre del 2012, le persone denunciate e arrestate in Italia per i reati di corruzione sono più che raddoppiate rispetto al semestre precedente, passando da 323 a 704». E se la Campania rimane al primo posto (195 persone),  la Lombardia guadagna posizioni (102 casi) così come la Toscana (71, la Sicilia (63) e il Piemonte (56).

Nel 2012 i comuni sciolti per infiltrazione mafiosa sono stati 25 (erano sei nel 2012), con un impennata in Calabria, dove i comuni sciolti arrivano a undici, inclusa Reggio Calabria.

In una lettera inviata al presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, il presidente della repubblica sottolinea che è necessario «sviluppare contro i gravi fenomeni delle ecomafie la più attenta vigilanza da parte delle istituzioni affinché, attraverso il ricorso a tutti i più efficaci mezzi di indagine e di coordinamento organizzativo, sia assicurato il massimo contrasto delle attività illecite contro l’ambiente».

L’articolo Legambiente: per i clan un giro d’affari da 17 miliardi. Le mafie non conoscono recessione


Non tagliate i vecchi alberi: assorbono la metà della CO2 delle foreste pluviali

Aree protette e biodiversità | Clima

 

Non tagliate i vecchi alberi: assorbono la metà della CO2 delle foreste pluviali

 

[9 agosto 2013]

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Lo studio Large trees drive forest aboveground biomass variation in moist lowland forests across the tropic, pubblicato su Global Ecology and Biogeography si annuncia importante fin  dalla partecipazione di decine di ricercatori di 40 istituzioni scientifiche e mantiene le sue promesse.  I ricercatori spiegano che i grandi alberi (dbh ≥ 70 cm) immagazzinano grandi quantità di biomassa. Diversi studi suggeriscono che i grandi alberi possono essere vulnerabili al cambiamento climatico, che potrebbe condurre al declino dello stoccaggio della biomassa forestale.  Lo studio ha determinato  l’importanza degli alberi di grandi dimensioni per lo stoccaggio di  biomassa nella foresta tropicale ed indagato «Su quali variabili intrinseche (caratteristica delle specie) ed estrinseche (ambiente) sono associate alla densità di alberi di grandi dimensioni e della biomassa forestale a livello continentale ed a scala pan-tropicale».

Ne è venuto fuori che i grandi alberi nelle foreste tropicali stoccano fino alla metà della biomassa fuori terra (Above ground carbon – Agc), ribadendo la loro importanza per contrastare il cambiamento climatico. I dati provengono dallo studio di  quasi 200.000  alberi in 120 siti di foresta pluviale di pianura in Africa, Asia ed America Latina. Lo stoccaggio di carbonio nei grandi alberi varia tra le diverse regioni che ospitano foreste tropicali, ma è importantissimo in tutte le foreste naturali.

Le foreste pluviali africane, con una media di 418 tonnellate di biomassa fuori terra per ettaro, sono quelle che stoccano più CO2. I grandi alberi, cioè quelli con un fusto di almeno 70 cm di diametro,  sono in media il 44% della biomassa delle foreste africane. Altre ricerche avevano già suggerito che la prevalenza di grandi alberi nelle foreste africane è dovuta all’abbondanza di grandi erbivori, che mangiano gli alberi più piccoli.  Dopo quelle africane, a stoccare più CO2 sono le foreste asiatiche, con una media di 393 tonnellate per ettaro, qui i  grandi alberi rappresentavano 154 tonnellate o il 39% per cento del totale di Above ground carbon. In America Latina la media è di 288 tonnellate per ettaro e  circa un quarto è dovuto ai grandi alberi. Risultati che sottolineano l’importanza di grandi alberi, che di solito dominano le foreste più antiche.

Il capo del team di ricerca internazionale, Ferry Slik del Xishuangbanna Tropical Botanical Garden della Cina, spiega su Mongabay che «I grandi alberi rappresentano meno del 5% di steli, ma stoccano fino al 50% di biomassa della forestale tropicale. Questo rende lo stoccaggio di biomassa nella foresta tropicale molto vulnerabile al cambiamento globale, in particolare se la siccità diventeranno più frequenti ed intense».

I grandi alberi svolgono anche importanti funzioni ecologiche: offrono habitat per specie che occupano ristrette nicchie ecologiche e forniscono abbondanti frutti, fogliame e fiori a moltissime specie animali. Eppure questi giganti sono particolarmente a rischio perché attirano l’industria del legname legale ed illegale che, anche nelle operazioni di taglio “selettive” si rivolgono più all’abbattimento dei grandi alberi.

Le foreste con la maggior densità di questi colossali esseri viventi sono le più vulnerabili ai cambiamenti dell’ecosistema, in particolare alla siccità, all’aumento degli incendi, alle attività antropiche ai margini delle foreste ed alle malattie.

Il nuovo studio internazionale lancia un allarme ancora più preoccupato ed urgente sulla necessità di  proteggere meglio le antiche foreste, per la stabilizzazione del clima e la conservazione della biodiversità. Slik  conclude: «Una volta persi, ci vorranno centinaia di anni per fare in modo che questi grandi alberi ritornino, quindi è meglio che ci prendiamo cura di loro».

http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/non-tagliate-i-vecchi-alberi-assorbono-la-meta-della-co2-delle-foreste-pluviali/


Filosofia e ambiente, ultima frontiera ad Atene: «L’ecocentrismo non basta»

Comunicazione | Scienze e ricerca

Piergiacomo Pagano, biologo e filosofo ambientale, dalla Grecia a greenreport.it

Filosofia e ambiente, ultima frontiera ad Atene: «L’ecocentrismo non basta»

Non solo crisi, la città non dimentica la sua natura: arrivano da tutto il pianeta più di 2.500 filosofi per il XXIII Congresso mondiale di filosofia, al quale partecipa il ricercatore italiano

[9 agosto 2013]

di
Luca Aterini

Filosofia ambiente

Per dirla col sociologo Zygmunt Bauman, una delle vittime silenziose di questa nostra modernità liquida è il tempo: corre sempre più veloce, fino a diventare puntiforme. Il XXI secolo ha ancora tempo per far filosofia?

«La filosofia ha sempre mosso il mondo e continuerà a farlo. Chi snobba la filosofia non sa che il suo snobbare è esso stesso filosofia. C’è sempre un pensiero filosofico alla base della nostra visione del mondo e quindi del nostro agire. C’è, però, filosofia e filosofia. Una filosofia sterile, autoreferenziale, che finisce con l’imputridire e una filosofia dinamica, moderna che si interroga sulle nuove realtà e produce idee innovative. I politici sono i primi a dover ascoltare ciò che la filosofia consiglia, ma gli altri non devono essere da meno, soprattutto scienziati e tecnologi. E se lo dice uno scienziato come me…»

Si potrebbe anche insinuare che in tempo di crisi ci sia da pensare ad altro che filosofeggiare, altrimenti “si finisce proprio come la Grecia”. Ma Atene non demorde, e per una settimana si riscopre culla della filosofia. La Grecia della crisi ha ancora qualcosa da insegnarci?

«Ritornare ad Atene e vedere tanti negozi chiusi e tante persone con gli occhi malinconici se non disperati mi ha toccato nel profondo. Alcuni di loro chiedono qualche spicciolo agli angoli delle strade, ma non sono i “soliti” mendicanti. Sono persone comuni che hanno perso il lavoro e la dignità. Ma ho visto anche un’altra Grecia, viva e dinamica. Una Grecia che vuole risollevarsi e si sta risollevando. Alla cerimonia di apertura, in uno stracolmo Odeum of Herodes Atticus, il sindaco di Atene è stato apertamente contestato a sottolineare la distanza della politica dalla gente. Un monito ai politici di tutto il mondo proveniente dai filosofi di tutto il mondo. Un momento di grande tensione, una richiesta di lealtà e onestà».

In Morals and Markets, una recente ricerca di economisti e neuroscienziati pubblicata su Science, si afferma – dopo un esperimento che ha coinvolto 700 persone – che l’economia di mercato erode i valori morali. Si tratta di un risultato che offre anche basi filosofiche?

«Anche se molti scienziati snobbano la filosofia e viceversa, filosofia e scienza interagiscono da sempre. Einstein quando formulò la teoria della relatività faceva filosofia. Spesso è la filosofia che segue la scienza. Non potremmo parlare di bioetica se non avessimo studiato l’uomo biologico, sociologico, psicologico. Alla sua domanda rispondo con la mia definizione di filosofia ambientale: “La filosofia ambientale è un processo che attinge conoscenza da ogni attività umana (scienze, letteratura, arte, miti ecc.), la elabora in un processo di integrazione multidisciplinare per enunciare principi utili ai legislatori nel perseguire la sostenibilità, l’equilibrio e l’armonia con la Natura”. E’ la nostra tradizione riduzionista che ci induce a credere che le diverse discipline siano separate. Così non è, e la risposta alla sua domanda è: sì».

Più di 2.500 filosofi da tutto il mondo si riuniscono insieme in questi giorni. Nonostante le diversità, il condividere un’etica altrettanto mondiale su temi che hanno un respiro globale – come l’ambiente – crede sia un’ambizione ancora percorribile?

«In una delle sessioni dedicate alla filosofia ambientale studiosi di tutto il mondo hanno avuto il compito di fare un quadro della situazione del loro paese. Così ho fatto io come rappresentante italiano. E’ proprio dal riconoscimento delle diversità che deve essere governato il processo della globalizzazione. E quale migliore campo di integrazione se non l’ambiente? I problemi ambientali riuniscono i paesi nell’unica vera preoccupazione: la sopravvivenza del pianeta. L’Europa unita è un ottimo esempio di processo di integrazione e di allargamento degli orizzonti. Riunendo paesi con tradizioni così diverse non si può pensare che l’integrazione sia naturale. Ognuno deve rinunciare a certi privilegi e lottare per sviluppare le eccellenze».

Da tempo la filosofia ambientale indaga i limiti etici dell’azione umana e il posto dell’uomo nella natura. Un percorso che appare ancora lontano dal terreno politico: a cosa crede sia dovuta questa distanza?

«Nel rapporto uomo/natura il discorso filosofico ha fatto grandi progressi. Basta guardare l’evoluzione della definizione di sviluppo sostenibile nel corso degli anni. Il concetto antropocentrico debole sta trasformandosi in ecocentrismo. Io credo che ciò non sia sufficiente e ho avanzato una nuova idea di filosofia che ho chiamato eco-evo-centrismo a sottolineare la dinamicità dei processi. Ne ho scritto nel mio intervento intitolato Ambientalismo propositivo nel libro Etiche dell’ambiente, Led 2012, così come nell’appendice del libro Storia del pensiero biologico evolutivo edito dal mio ente, l’Enea, e scaricabile gratuitamente dal suo sito www.enea.it. Ne tratterò in maniera più compiuta in un prossimo scritto.

Per rispondere direttamente alla sua domanda credo che la politica oggi non solo sia distante dalla filosofia ambientale, ma sia molto distante dai problemi dei cittadini. Nel libro La politica propositiva: il governo nella globalizzazione e nel multiculturalismo, Limina Mentis 2012, ho dato qualche consiglio in merito, ma se posso essere provocatorio le dico che anche gli italiani devono fare un esame di coscienza.

Non si può pensare che arrivi l’uomo taumaturgico a risolvere i nostri problemi, sia esso un Berlusconi o un Grillo. Per progredire, svilupparci in modo sostenibile, e tornare ad essere un esempio di volontà di fare e creatività nel pensare così come eravamo noi italiani negli anni ’60, dobbiamo renderci conto che non esistono scorciatoie. Dobbiamo rimboccarci le maniche e tornare ad essere gli artefici del nostro futuro scegliendo i politici che fanno pochi proclami e lavorano sodo».

http://www.greenreport.it/news/comunicazione/filosofia-e-ambiente-ultima-frontiera-ad-atene-lecocentrismo-non-basta/


Ecobonus verso l’approvazione: dal 2014 gli ecoincentivi saranno stabilizzati

Ecobonus verso l’approvazione: dal 2014 gli ecoincentivi saranno stabilizzati

Tra gli ambiti di applicazione: adeguamento antisismico, efficienza idrica ed energetica, arsenico e amianto

[30 luglio 2013]

 

 

parlamento

Mentre è in corso in aula alla Camera l’esame e la votazione sul cosiddetto decreto “Ecobonus” un altro tassello positivo si aggiunge all’impianto della norma. In base ad un emendamento al decreto di Stefano Allasia (Lega) e sottoscritto da Ermete Realacci (Pd),  gli ecoincentivi previsti dal decreto dovranno essere stabilizzati dal 2014. L’emendamento è stato approvato all’unanimità dall’Aula di Montecitorio con il parere favorevole di governo e commissione.

A Montecitorio quindi salvo sorprese sarà convertito in legge il decreto 4 giugno 2013, n. 63, recante disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia per la definizione delle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale.

In questo contesto l’emendamento proposto da Realacci nei giorni scorsi, cioè l’estensione della detrazione d’imposta del 65% ai lavori preventivi di adeguamento sismico è stato accolto. Da qui alla fine dell’anno, nelle zone sismiche 1 e 2, chi ristruttura la casa o il capannone industriale con criteri antisismici preventivi (e quindi non applicabile agli interventi ricostruttivi ex post) godrà di un bonus fiscale del 65%. Positivi i commenti specialmente degli  ambientalisti che da sempre spingono affinché in Italia si investa sulla prevenzione.

«Un provvedimento lungimirante e di civiltà – ha sottolineato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza- Una scelta di grande importanza di cui va dato merito al Presidente della Commissione Ambiente della Camera Realacci, che in questi mesi si è sempre battuto per la messa in sicurezza del territorio, del patrimonio edilizio italiano e per la sua riqualificazione energetica. Puntare sulla prevenzione significa rilanciare e riqualificare l’edilizia e creare occupazione contribuendo a far uscire l’Italia dal periodo di forte crisi che sta vivendo. Al Governo Letta e al Parlamento chiediamo ora l’impegno di stabilizzare finalmente gli incentivi, per dare un segnale chiaro al settore delle costruzioni e al Paese favorendo così una crescita basata sulla qualità e la green economy».

Sulla stessa linea il commento di Silvia Fregolent, deputato Pd, membro dell’Esecutivo nazionale degli Ecologisti Democratici e relatore in Commissione Finanze della Camera del cosiddetto “Dl Energia”: «Il nostro prossimo obiettivo è una legge che stabilizzi gli incentivi per l’efficienza energetica degli edifici. Chiediamo al ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato di raccogliere questa richiesta. Nel corso dell’esame del testo –  ha continuato la parlamentare – siamo riusciti ad inserire norme significative, come ad esempio l’estensione degli ecobonus alla prevenzione antisismica degli edifici e un ampliamento degli interventi previsti che riguarderanno anche l’efficientamento idrico e la sostituzione delle coperture di amianto. Tutto questo evitando di utilizzare come copertura economica l’innalzamento della tassazione dei libri scolastici e dei relativi supporti multimediali».

Sul fronte del governo il Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti Erasmo D’Angelis ha ribadito che si tratta «di una vera rivoluzione per l’Italia che crolla troppo facilmente e che per decenni ha rimosso la prevenzione e pianto morti e feriti e danni ingenti. È urgente lanciare un vero piano nazionale di sicurezza antisismica per salvare beni e vite umane oggi pericolosamente a rischio nel 75% dell’Italia che la protezione civile certifica a medio-elevato rischio. È una scelta che affianca i 300 milioni di euro recuperati dal ministero delle Infrastrutture e già destinati alla messa in sicurezza dell’edilizia scolastica. È anche il modo per ridare ossigeno al settore dell’edilizia in crisi».

L’emendamento approvato oggi specifica gli ambiti di applicazione della futura stabilizzazione delle detrazioni: adeguamento antisismico e la messa in sicurezza degli edifici esistenti, l’incremento dell’efficienza idrica e del rendimento energetico degli stessi, l’installazione di impianti di depurazione delle acque da contaminazione di arsenico, la sostituzione delle coperture di amianto negli edifici.

http://www.greenreport.it/


Casson: governo intervenga su passaggio navi crociera in Laguna

 

 

 

Conferenza stampa del Pd su contrasto alla malavita organizzata

 

 

29 luglio 2013
Ambiente

Casson: governo intervenga su passaggio navi crociera in Laguna

Interrogazione dopo l’ultimo preoccupante caso di due giorni fa

“Due giorni fa a Venezia si è verificato un nuovo rischioso e mal controllato avvicinamento alla riva Sette Martiri presso piazza San Marco della nave-mostro Carnival Sunshine, di oltre 100.000 tonnellate di stazza, ben oltre il limite di 40.000 stabilito dal decreto Clini-Passera del 2011: occorre intervenire urgentemente per impedire ulteriori sfregi e rischi a Venezia, alle sue bellezze, alla sua Laguna e ai suoi cittadini”.

Lo dichiara il senatore del PD Felice Casson.

“Dai giornali e da dichiarazioni pubbliche dei ministri dell’Ambiente e dei Trasporti – prosegue Casson – si è appreso che l’incarico di valutare le proposte e i progetti (almeno sei) per fare fronte al problema del passaggio delle grandi navi nel bacino di San Marco e nel canale della Giudecca dovrebbe essere affidato al Magistrato alle Acque di Venezia e alla Capitaneria di Porto.

Questa ipotesi non fornisce alcuna garanzia di serietà e oggettività scientifica, in quanto sia il Magistrato alle Acque che la Capitaneria si sono sempre comportati in modo succube e ancillare rispetto all’autorità portuale di Venezia (proponente di uno dei progetti), nonché rispetto al Consorzio Venezia Nuova, mostrandosi per nulla autonomi riguardo alle esigenze collettive da tutelare, inclusa naturalmente la necessità di arginare l’invadenza delle società crocieristiche.

Per questo il governo deve subito mettere mano a un problema in cui la posta in gioco – conclude il parlamentare democratico – è la tutela di uno dei principali gioielli del nostro Paese”.

Su questa vicenda il senatore Casson ha presentato un’interrogazione al governo.


Rivoluzione verde per la Raffineria

Rivoluzione verde per la Raffineria

 

PORTO MARGHERA. Avviati i lavori di bonifica, a settembre si comincia con la conversione. Così Eni, sindacati e lavoratori battono la crisi dando una nuova vita al vecchio impianto

Il Gazzettino di Venezia e Mestre, 26 luglio 2013, pagina 15

Mentre in Europa le nuvole nere della crisi più grossa dal 1929 hanno provocato la chiusura di 12 raffinerie, in Italia è successo un mezzo miracolo. Le pressioni di sindacati e lavoratori unite alla passione e alla capacità dei ricercatori Eni hanno prodotto il primo caso al mondo di trasformazione di una raffineria convenzionale in una bioraffineria. Giorni fa abbiamo annunciato che sono iniziati i lavori di bonifica degli impianti per poter, poi, a settembre partire con i cantieri di trasformazione. «Abbiamo rispettato i tempi annunciati a settembre dell’anno scorso» commenta soddisfatto l’ingegner Giacomo Rispoli, vicepresidente esecutivo di Ricerca, Sviluppo Tecnologico e Progetti per Eni Refining & Marketing, in due parole il progettista dell’operazione: «È non è stato semplice visto che in questo settore ogni modifica di un impianto corrisponde ad una nuova parte da progettare e ordinare». Per quella che diventerà la prima green refinery nata da una raffineria tradizionale sono state utilizzate solo aziende fornitrici italiane, «e utilizzeremo solo imprese italiane per eseguire i lavori sul posto, che vedranno occupati dai 300 ai 400 operai da settembre a dicembre». A gennaio la raffineria sarà già stata trasformata e partirà con la nuova produzione, anche se sarà ancora nella prima fase, quella che utilizzerà idrogeno ricavato dalla virgin nafta. La seconda fase sarà pronta per il 2015, «quando avremo a disposizione idrogeno ricavato da un impianto a gas che ci permetterà di saturare la capacità produttiva della nuova bioraffineria e arrivare effettivamente alle 500 mila tonnellate di green diesel prodotto ogni anno». Se si considera che attualmente la raffineria veneziana lavora 4 milioni di tonnellate di greggio l’anno e ne ricava 3 milioni e mezzo di carburanti, può sembrare un taglio drastico alla produzione. In realtà il green diesel che uscirà dai cancelli di Marghera sarà come il succo concentrato di frutta che si usa per produrre bibite. Sarà un prodotto brevettato da Eni che, miscelato ai gasoli prodotti nelle altre raffinerie italiane, sarà in grado di offrire agli automobilisti un carburante di alta qualità sia dal punto di vista delle prestazioni e della protezione del motore, sia da quello della tutela dell’ambiente; in proposito per il 2015 gli impianti di Eni avranno bisogno, per legge, di un milione di gasoli verdi da aggiungere ai carburanti da distribuire, e metà saranno autoprodotti a Venezia. «Gli oli vegetali idrogenati saranno privi di componenti aromatici e poliaromatici che sono responsabili della formazione di particolato, e quindi di inquinamento – spiega Rispoli -. Inoltre il numero di cetano è superiore: si tratta dell’indice della ignibilità del gasolio nella camera di combustione, e più è alto più è performante. Infine nel biodiesel convenzionale c’è ossigeno, e talvolta si può creare umidità e dare luogo alla formazione di batteri. Ebbene, il nostro gasolio bio non avrà presenza di ossigeno, quindi avrà un più elevato potere energetico, e il motore nel complesso performerà meglio che con i biocarburanti convenzionali». Per partire manca solo un documento del ministero dello Sviluppo economico, che raccoglierà tutti i pareri già espressi dal ministero dell’Ambiente e dagli enti locali, atteso a giorni. Entro fine luglio si conclude l’aspetto convenzionale della raffineria di Venezia, e si parte per la nuova avventura. Un passaggio storico anche perché la trasformazione in atto a Marghera sarà un prototipo per moltissime altre raffinerie europee che, invece di chiudere, potrebbero convertirsi e tornare a vivere.


Rifiuti di estrazione, arrivano le modalità per l’inventario delle strutture di deposito

Diritto e normativa | Rifiuti e bonifiche

Rifiuti di estrazione, arrivano le modalità per l’inventario delle strutture di deposito

[24 luglio 2013]

di
Eleonora Santucci

legge

Il Ministero dell’Ambiente stabilisce le modalità di realizzazione dell’inventario delle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione chiuse: è stato infatti pubblicato sulla Gazzetta ufficiale di ieri il relativo decreto.

Un decreto che arriva in “esecuzione” della disposizione contenuta nel decreto legislativo “Attuazione della direttiva 2006/21/Ce relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive e che modifica la direttiva 2004/35/Ce”. Nello specifico la disposizione – articolo 20 del Dlgs 117/2008 – stabilisce la realizzazione e la messa a disposizione del pubblico di un inventario nazionale delle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione chiuse, anche abbandonate, “che hanno gravi ripercussioni negative sull’ambiente o che, a breve o medio termine, possono rappresentare una grave minaccia per la salute o l’ambiente”.

Le strutture di deposito chiuse o abbandonate comprendono tutte le strutture di deposito dei rifiuti di estrazione che hanno avuto origine dalle attività estrattive, includendo anche quelle derivanti dalla coltivazione dei minerali di seconda categoria e quelle derivanti dalle attività di prospezione o di ricerca. Con l’esclusione, però di una serie di rifiuti (ossia quelli radioattivi; quelli che non derivano direttamente da operazioni di prospezione o di ricerca, di estrazione e di trattamento di risorse minerali e dallo sfruttamento delle cave – ad esempio, i rifiuti alimentari, gli oli usati, i veicoli fuori uso, le batterie e gli accumulatori usati – ; quelli derivanti dalle attività di prospezione o di ricerca, di estrazione e di trattamento in offshore delle risorse minerali; l’inserimento di acque e il reinserimento di acque sotterranee).

Secondo il decreto, dunque, ciascuna autorità competente compila per ciascun sito estrattivo pericoloso presente sul territorio di competenza, una scheda (riportata nell’allegato I del decreto) e la invia, entro nove mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, all’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). L’Ispra provvede all’acquisizione delle schede, all’elaborazione e alla redazione di un unico inventario nazionale entro i due mesi successivi. Inoltre l’Ispra definisce le modalità informatiche per la redazione e l’invio delle suddette schede e della condivisione delle informazioni. E provvede a pubblicarle in formato digitale rendendole accessibili.

Dovrà essere valuto quali dei siti estrattivi presenti sul territorio sono effettivamente o potenzialmente pericolosi tenendo in considerazione sia il rischio statico-strutturale sia il rischio ecologico-sanitario. Per quanto riguarda la valutazione del rischio statico-strutturale le informazione da prendere in considerazione sono quelle specificate e indicate dal legislatore (specifica sezione dell’allegato II al decreto legislativo 117/2008) e quelle relative alla classificazione delle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione. Per quanto riguarda la valutazione del rischio ecologico-sanitario invece, dovranno essere prese in considerazione almeno una di una serie di indicazioni. Ossia la tipologia dei rifiuti di estrazione stoccati e pericolosità degli stessi; la tendenza dei rifiuti di estrazione stoccati a produrre drenaggio acido; la presenza nei minerali sfruttati dall’attività estrattiva di alcuni elementi e la possibilità di migrazione degli stessi dai rifiuti estrattivi stoccati; le eventuali elementi pericolosi utilizzati nei processi estrattivi.

Inoltre la valutazione del rischio considera, oltre alla presenza umana anche i siti di pregio naturalistico quali aree protette e corsi d’acqua. L’obbligo della redazione e dell’aggiornamento periodico deriva dalla direttiva europea sulla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive (poi recepita in Italia dal Dlgs del 2008). La direttiva, infatti, oltre a prevedere un ottimale sistema di gestione per i rifiuti prodotti dalle attività estrattive in essere, richiede la realizzazione dell’inventario delle strutture di deposito dei rifiuti di estrazione chiuse, incluse quelle abbandonate.

Non a caso la direttiva istituisce le misure, le procedure e gli orientamenti necessari per prevenire o ridurre il più possibile eventuali effetti negativi per l’ambiente, in particolare per l’acqua, l’aria, il suolo, la fauna, la flora e il paesaggio, nonché eventuali rischi per la salute umana, conseguenti alla gestione dei rifiuti prodotti dalle industrie estrattive.


Rifiuti speciali, progetto Alles il primo agosto udienza al Tar

Rifiuti speciali, progetto Alles il primo agosto udienza al Tar

Pubblicato: 13 luglio 2013 | Autore:  | Archiviato in: Uncategorized | Modify: Modifica questo | Lascia un commento »

 

 

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Rifiuti speciali, progetto Alles il primo agosto udienza al Tar

Sarà discusso il 1° agosto dai giudici amministrativi del Tar Veneto il ricorso con il quale il Comune di Venezia ha impugnato – chiedendone l’annullamento – la delibera della giunta regionale che ha autorizzato il progetto di revamping dell’impianto di ricondizionamento rifiuti speciali e pericolosi della Alles-Azienda lavori lagunari escavo smaltimenti Spa, a Malcontenta. Un intervento contestatissimo dal Comune che – come anche la Provincia di venezia – aveva dato parere negativo al progetto: nella prima camera di consiglio, i giudici dovranno decidere se concedere o meno la sospensione dell’autorizzazione, in attesa di decidere nel merito del ricorso.
L’impianto è stato autorizzato dalla Regione – con delibera 488 del 10 aprile – a bruciare 180 mila tonnellate di rifiuti annui al posto delle attuali 100 mila. È stata aumentata anche la tipologia di rifiuti da bruciare che passano da 20 tipi a 70.
Nel motivare il ricorso, l’assessore all’Ambiente Gianfranco Bettin ha parlato di «ragioni inestirpabili di preoccupazione e di opposizione: l’abnorme aumento dei codici, cioè del tipo di rifiuti trattabili, la loro provenienza dall’intero mercato globale dei rifiuti, come certifica l’autorizzazione, e la modifica autoritaria del Piano regolatore di Marghera». Secondo Bettin «grazie ad essa Porto Marghera rischia di diventare la pattumiera dei rifiuti tossici e nocivi di tutta Italia se non d’Europa e oltre. Ne deriverebbero un duro impatto sull’ambiente e sulla salute, uno stravolgimento delle linee di evoluzione dell’area che comporterebbe un vantaggio occupazionale minimo a fronte di un allontanamento delle attività sostenibili ambientalmente e competitive e innovative».

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Sversamenti di idrocarburi in Lombardia e Campania

Sversamenti di idrocarburi in Lombardia e Campania.

Ma la tempestività dei soccorsi scongiura il disastro ambientale

 

 

Due disastri ambientali sfiorati  nel giro di poche ore nel nostro Paese. L’incidente è lo stesso: uno sversamento di idrocarburi. Ieri nel tratto di Adda fra Tirano e Ardenno, circa quaranta chilometri del corso d’acqua sono stati coperti e percorsi da macchie estese di idrocarburi. A dare l’allarme sono stati alcuni pescatori che hanno allertato il servizio di vigilanza dell’unione pesca sportiva di Sondrio che ha attivato vigili del fuoco e tecnici Ups e Arpa per recuperare dall’invaso la sostanza oleosa galleggiante con appositi panni assorbenti. Ora si cercano i responsabili dell’accaduto che avrebbe potuto provocare gravi danni alla fauna ittica.Gli idrocarburi creano una pellicola sulla superficie, facilmente removibile finché non sedimenta. Quando invece la sostanza scende in profondità va a saturare l’ossigeno presente nell’acqua, provocando problemi alla flora e alla fauna,ha spiegato Giorgio Lanzi, responsabile Ups. Fortunatamente questo non è avvenuto e, dai primi rilevamenti, non è stata segnalata alcuna anomalia alla fauna ittica, tanto che la pesca potrà continuare regolarmente.L’altro sversamento di idrocarburi è avvenuto in mare, nel porto di Salerno, mentre erano in corso le operazioni di rifornimento del cargo Euroferry Brindisi. Anche in questo caso gli idrocarburi sono stati “captati” con panni assorbenti che hanno permesso di contenere l’incidente. Le operazioni di bonifica proseguono di concerto con il Ministero dell’Ambiente che ha inviato sul posto la motonave San Giacomo. Sono state aperte un’inchiesta amministrativa volta a chiarire le cause del sinistro e una penale per definire eventuali responsabilità.

Via | Salerno Notizie

Foto © Getty Images


Risultati indagine: i giovani come si immaginano le città intelligenti del prossimo futuro?

Risultati indagine: i giovani come si immaginano le città intelligenti del prossimo futuro?

NTT DATA indaga il rapporto tra giovani e smartcity

redazione web
 

 

Da un’indagine condotta in collaborazione con il Liceo Scientifico Albert Einstein di Milano emerge una forte sensibilità ai temi del risparmio energetico e della vivibilità in ottica “green”,coniugati con l’esigenza di condividere idee e informazioni utilizzando strumenti social e potendocontare su accessi a Internet gratuiti e diffusi Milano, 11 luglio 2013 – Amano vivere la città, ma la sognano “green” e a misura d’uomo,predicano il Wi-Fi libero e auspicano trasporti pubblici efficienti, ma a risparmio energetico:è questo il profilo-tipo degli oltre 100 utenti coinvolti nell’indagine lanciata da NTT DATA incollaborazione con il Liceo Scientifico Albert Einstein di Milano, per indagare il rapporto tra i giovani e le Smart City, le città intelligenti del prossimo futuro.Partendo dai risultati dell’indagine, il laboratorio d’innovazione ha consentito a cinque giovani studenti del quarto anno del Liceo di effettuare uno stage presso la sede di Milano allo scopo di progettare il concept di due diverse applicazioni mobile per i servizi fruibili dai cittadini. L’iniziativa“Y Generation” s’inserisce nel piano di sviluppo dei servizi innovativi della Market Unit “Energy & Utilities” di NTT DATA.I risultati sono particolarmente interessanti se si considerano le fasce d’età che compongono ilcampione: il 48% ha un’età compresa tra 15 e 24 anni e il 75% ha comunque meno di 40anni. Si tratta, quindi, di giovani e di giovanissimi che hanno le idee chiare su come coniugare le loro esigenze di spostamento e divertimento con una significativa attenzione alle energie alternative e all’utilizzo di tecnologie innovative e ai canali di comunicazione social, ritenuti strumenti indispensabili per vivere meglio.Non rinunciano allo smartphone (lo possiede l’85% del campione) ma mettono ai primi posti dei loro desideri la creazione di “infrastrutture per migliorare la vita dei cittadini” (64%), mezzi pubblici intelligenti (55%), energia green (54%) e auto elettriche (49%). Non è un caso, quindi, che percentuali significative di intervistati si aspettino che le applicazioni mobili del futuro riescano finalmente a fornire informazioni ritenute importanti come quelle relative alla situazione del traffico in tempo reale (51%), agli orari di treni e metro (49%) e, dato decisamente meno scontato, alle colonnine per ricaricare leauto elettriche (45%); subito a seguire, il 38% del campione vorrebbe incrementare il servizio di bike sharing (38%) e dicar sharing (35%).L’indagine di NTT DATA ha messo in luce anche la “fame” di connessione che caratterizza le nuove generazioni: l’82% del campione vorrebbe trovare il Wi-Fi gratuito nei locali pubblici, alla stregua di tutte le più importanti capitali europee, e più capacità di banda (46%). Tutto questo con l’obiettivo di interagire ed essere sempre aggiornati, ma anche di poter condividere e “fare gruppo”: il 37% auspica la creazione di community a livello di quartiere, mentre il 29%apprezzerebbe la creazione di uno specifico sportello comunale (magari virtuale) dedicato alla raccolta di idee per la città (29%).l tema “always connect” è stato ben interpretato anche negli spazi riservati ai commenti liberi: una popolazione di giovani che si muove con device sofisticati e sempre collegati alla rete ha bisogno di poter contare sulla possibilità di ricaricare le batterie dei dispositivi mobili come smartphone e tablet anche, e soprattutto, durante il tempo libero. Alcuni tra i più giovani hanno espresso il suggerimento di poter contare su punti di ricarica “pubblici”, anche all’interno di parchi e luoghi di aggregazione all’aperto, magari alimentati ad energia solare. L’esigenza di poter contare su lWi-Fi gratuito torna alla ribalta anche quando gli intervistati sono stati chiamati a dare suggerimenti per l’Expo 2015 di Milano. Oltre la metà del campione suggerisce, infatti, di puntare su servizi online dedicati all’intrattenimento e al turismo: siti di interesse a Milano e dintorni (62%), locali e luoghi di svago (60%) e informazioni su hotel e pernottamenti (48%). Sempre in ambito Expo 2015, torna alla ribalta il tema di una mobilità che contenga le emissioni, con il suggerimento di far decollare i servizi di car sharing (50%) e bike sharing (45%). Sul fronte delle auto elettriche, è interessante notare che, per noleggiarne una, quasi la metà del campione sarebbe disposto a pagare il 10% in più rispetto a un’auto tradizionale con prestazioni equivalenti, mentre il 26% arriverebbe addirittura a sborsare il 20% in più. Alcuni intervistati caldeggiano addirittura la possibilità di studiare un’applicazione che consenta di organizzare il car sharing tra utenti della Rete, per condividere i costi degli spostamenti e contribuire a snellire l’aumento di flusso automobilistico atteso per l’occasione e il conseguente livello di inquinamento. I risultati completi dell’indagine hanno rappresentato il punto di partenza per lo stage di cinque giovani studenti del quarto anno del Liceo Scientifico Albert Einstein di Milano. Per quattro settimane i cinque ragazzi sono stati inseriti in un team di lavoro multidisciplinare composto da professionisti del mercato “Energy& Utilities”, dedicandosi all’analisi dell’esistente e alla creazione del concept pilota di un’ App che dia forma concreta alle due principali esigenze espresse soprattutto dalla componente più giovane del campione: città più vivibili e tecnologicamente all’avanguardia, e salvaguardia dell’ambiente.

 

Per ulteriori informazioni, visitare il sito: www.nttdata.com/it


La greeneconomy non è lo sceriffo di Nottingham

La greeneconomy non è lo sceriffo di Nottingham

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Impensabile estendere la Robin Hood Tax anche agli impianti di produzione di energia rinnovabile di minori dimensioni. Il danno non si fa agli speculatori ma al sistema Paese. La tassa sui maxi profitti dei produttori di energia era stata immaginata per ridistribuire la ricchezza accumulata dai grandi operatori nel campo dell’energia da idrocarburi ma nel corso degli ultimi anni si è trasformata in un bancomat dal quale attingere per fare quadrare i conti dello Stato. L’ultima versione che estende l’addizionale Ires del 10,6%, su un aliquota base del 27,5%, anche agli impianti di produzione di fonte rinnovabile di taglia minore dimostra come la situazione sia sfuggita alla ragionevolezza. L’obiettivo è recuperare risorse per finanziare uno sconto di 500 milioni di euro alle bollette energetiche di famiglie e piccole e medie imprese. Obiettivo condivisibile visto che li stessi pagano oggi la bolletta più cara d’Europa nonostante tra il 2009 e il 2012 la componente energia sia calata del 14%. Altrettanto corretto pensare di rivedere parte dei cosiddetti “oneri impropri” ovvero la componente fiscale e parafiscale che valgono il 65% della spesa per energia elettrica per un ammontare totale di 20 miliardi di euro all’anno, e finanziano spese come lo smaltimento delle scorie nucleari e gli aiuti alle ferrovie. Sbagliato invece punire la produzione di energia rinnovabile per riconoscere uno sconto di 10 euro l’anno a famiglia su una componente fiscale e parafiscale di 230 euro all’anno.

L’industria dell’energia verde avrà anche beneficiato di generosi incentivi, ma nello stesso tempo ha subito imprevisti e improvvisi cambi di normativa, 3 volte in 5 anni, che hanno stordito le imprese di settore che hanno pur sempre creato oltre 10mila posti di lavoro, contribuito per 5 miliardi di euro tra tasse e contributi e non avrebbero problemi a farlo in futuro. I più bravi e flessibili tra gli imprenditori hanno iniziato a guardare all’estero, affrontando le tipiche difficoltà di un’azienda italiana a confrontarsi con i mercati internazionali, mentre i più piccoli sopravvivono. Ma se la Robin Hood Tax fosse estesa si metterebbe in discussione anche la poca di credibilità e opportunità che è rimasta ad investire in Italia nella greeneconomy allontanando, per anni, gli investimenti soprattutto di operatori esteri. Nel 2013 gli investimenti nelle rinnovabili su scala mondiale hanno superato quelli in idrocarburi raggiugendo i 300 miliardi di dollari. Un trend guidato dagli incentivi è vero, che sono però davvero poca cosa rispetto ai 400 miliardi di dollari di cui beneficiano ancora le fonti fossili nel mondo.

Le associazioni di categoria si sono immediatamente scagliate contro la bozza del provvedimento ma sono piccole e troppo frazionate per fare sentire la propria voce. Quello che serve è la politica che faccia una scelta di campo: a favore o contro un modello di sviluppo industriale che abbandoni i paradigmi del passato e punti tutto sulla sostenibiltà ambientale anche a costo di fare scelte, nel breve, poco “popolari” tra gli operatori dell’industria tradizionale. I quali invece dovrebbero pensare più ad avviare processi di concentrazione favorendo un aumento della taglia media delle proprie imprese, vero elemento di debolezza dei settori “maturi” nello scacchiere internazionale. Non dimentichiamo che da sempre la politica industriale si è basata anche su forme di sostegno pubblico allo sviluppo di imprese innovative sul piano tecnologico e dei processi produttivi come accaduto in Italia nel fotovoltaico. E non regge neanche l’obiezione della dipendenza dall’estero legata all’uso di pannelli e turbine di fabbricazione cinese poiché questi pesano al massimo per il 50% di una commessa mentre il valore sta e starà sempre di più nel processo di ingegnerizzazione e di sviluppo degli interventi. In questo contesto si sono sviluppate oggi aziende che dopo avere raggiunto una leadership nazionale puntano all’estero e si fano strada tra colossi che hanno alle spalle Paesi molto più organizzati del nostro. Ma se la Rob Hood Tax dovesse essere confermata anche loro potrebbero iniziare a pensare ad abbandonare definitivamente l’Italia stanchi di continui cambi di rotta su scelte che invece dovrebbero avere una chiarezza di lungo periodo.

 

Fabrizio Barini

Coordinatore Provinciale Ecologisti Democratici di Novara.

Consigliere provinciale


Paese sotto scacco delle compagnie petrolifere: a rischio 24mila kmq di mare.

Paese sotto scacco delle compagnie petrolifere: a rischio 24mila kmq di mare.

 

minaccia_petrolioL’Italia sta diventando il paradiso fiscale dei petrolieri. Fermare subito le nuove trivelle dall’Adriatico, allo Jonio e fino al Canale di Sicilia. Il Parlamento cancelli l’articolo 35 del decreto sviluppo e ridia un ruolo decisionale agli enti locali.

Nel Canale di Sicilia oltre a quelli già rilasciati incombono 10 richieste di permessi di ricerca per 4mila kmq: a sud di Capo Passero, a largo di Gela, di Pozzallo, di Agrigento e tra Marsala e Mazara del Vallo.

È corsa all’oro nero nel mare italiano: 24mila chilometri quadrati, un’area grande come la Sardegna, è sotto scacco delle compagnie petrolifere. Un fermento per le attività petrolifere favorito da scellerata strategia energetica nazionale che punta al rilancio della produzione di idrocarburi e in particolare da norme, come l’articolo 35 del decreto sviluppo, approvato il 26 giugno 2012, che hanno riaperto la strada alle attività anche nelle aree sottocosta e di maggior pregio. Un vero assalto al mare italiano, in particolare all’Adriatico centro meridionale, allo Jonio e al Canale di Sicilia dove, oltre a quelle già attive, potrebbero presto sorgere decine di altre piattaforme. Questo, nonostante i numeri dimostrino l’assoluta insensatezza di continuare a puntare sul petrolio: il mare italiano, secondo le ultime stime del ministero dello sviluppo economico, conserva come riserve certe, circa 10 milioni di tonnellate di greggio che, stando ai consumi attuali durerebbero per appena due mesi.Così, alla trasformazione energetica che negli ultimi dieci anni ha portato ad una quasi completa uscita dal petrolio dal settore elettrico, si risponde con un attacco senza precedenti alle risorse paesaggistiche e marine italiane, che favorirebbe soltanto l’interesse di pochi e sempre degli stessi: le compagnie petrolifere. Le realtà locali restano succubi di queste scelte scellerate: Regioni, Province e Comuni sono, infatti, ormai tagliate fuori dal tavolo decisionale. Il futuro, la bellezza, l’economia del nostro Paese viene svenduto per “pugno di taniche”.

Numeri, che disegnano una scenario senza precedenti – oltre che assolutamente insensato anche dal punto di vista economico – quelli che emergono dal dossier di Legambiente “Per un pugno di taniche”, presentato questa mattina a Pozzallo, daRossella Muroni, direttrice generale Legambiente, Mimmo Fontana, presidente Legambiente Sicilia, Gianfranco Zanna, direttore Legambiente Sicilia, alla presenza diVera Greco, rappresentante della Regione Siciliana nella Commissione nazionale VIA-VAS, presso il Ministero per l’Ambiente. Il dossier inedito arriva durante la tappa siciliana di Goletta Verde, la storica campagna di Legambiente che da vent’otto anni è in prima linea a difesa del mare e delle coste italiane e che anche quest’anno sta concentrando la propria azione nella lotta contro le trivelle.

Proprio da Goletta Verde arriva un appello a Governo e Parlamento affinché non solo vengano riviste le scellerate scelte politiche in materia energetica praticate dall’ex ministro dello sviluppo economico Corrado Passera, a partire dall’abrogazione dell’articolo 35 del decreto sviluppo, ma soprattutto venga ridata voce e possibilità di scelta ai territori e alle popolazioni interessate dalle richieste di estrazioni avanzate dalle compagnie petrolifere.

“Nonostante i dati dimostrino una graduale uscita dal petrolio, nell’ultimo anno è aumentata la produzione di greggio nel nostro Paese – dichiara Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente – Siamo di fronte a un attacco senza precedenti alle bellezze del nostro Paese. Stiamo cedendo chilometri di costa e sottosuolo in cambio di una presunta, quanto irreale, indipendenza energetica. La realtà è che l’Italia è diventata una sorta di paradiso fiscale per i petrolieri. Per loro il rischio d’impresa, grazie alle ultime leggi, è quasi nullo, mentre restano incalcolabili i rischi per l’ambiente. Occorre fermare al più presto questa insensata corsa all’oro nero e per questo chiediamo al Parlamento di abrogare l’articolo 35 del decreto sviluppo, vera manna dal cielo per i petrolieri. Ma occorre anche una forte azione congiunta di Regioni, Province, Comuni e tutti gli altri Enti Locali nei confronti del Governo per assicurarsi un ruolo determinante in scelte così importanti per il loro futuro”.

I numeri della corsa all’oro nero. Nel 2012, in Italia, si sono estratti 5,4 milioni di tonnellate, il 2,5% in più rispetto all’anno precedente, di cui 473mila in mare. A dare il contributo maggiore la Basilicata con oltre il 75% del petrolio estratto. In mare, invece, le regioni petrolifere sono rappresentate dal mare Adriatico centro meridionale e dal canale di Sicilia, dove si trovano le 10 piattaforme oggi attive, sulla base di concessioni che riguardano 1.786 kmq di mare. Le aree interessate da richieste per la ricerca e la coltivazione di giacimenti e dalle attività di ricerca su cui un domani potrebbero sorgere nuove piattaforme però sono molte di più: sono 7 le richieste per la coltivazione di nuovi giacimenti per un totale di 732 kmq individuati (ovvero dove le ricerche sono andate a buon fine), che andrebbero a sommarsi ai 1.786 kmq su cui già insistono le piattaforme attive; sono 14 i permessi di ricerca attivi per un totale di 6.371 kmq. Infine sono 32 le richieste di ricerca di idrocarburi per un totale di 15.574 kmq di mare non ancora rilasciate ma in attesa di valutazione e autorizzazione da parte dei ministeri dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello Sviluppo economico.

In definitiva, tra le aree dove insistono le piattaforme attive, quelle su cui è stato richiesto il permesso per sfruttare nuovi giacimenti, quelle in cui sono in atto attività di ricerca e quelle in cui si vorrebbero cominciare, l’area sotto scacco delle compagnie petrolifere è circa 24mila kmq, un’area grande come la Sardegna.

Tanto rumore per nulla: quantitativi e posti di lavoro. I quantitativi di petrolio in gioco sono davvero risibili e dimostrano l’assoluta insensatezza del rilancio delle attività estrattive e della spinta verso nuove trivellazioni volte a creare secondo i proponenti 15 miliardi di euro di investimento e 25 mila nuovi posti di lavoro. Nulla in confronto ad una politica energetica basata su risparmio, efficienza energetica e fonti pulite e rinnovabili che potrebbe portare nei prossimi anni i nuovi occupati a 250 mila unità. Ossia 10 volte i numeri ottenuti grazie alle nuove trivellazioni e soprattutto garantire uno sviluppo futuro, anche sul piano economico, sicuramente molto più sostenibile e duraturo. E invece di ragionare su come aumentare la produzione di petrolio nazionale, avremmo potuto mettere in campo adeguate politiche di riduzione di combustibili fossili, a partire dai settori che sono ancora indietro su questo. Ad esempio invece di regalare al settore dell’auto trasporto ogni anno, come avvenuto negli ultimi dieci anni, circa 400 milioni di euro sotto forma di buoni carburante, sgravi fiscali e bonus per i pedaggi autostradali, si fossero utilizzati quei 4 miliardi di euro per una mobilità nuova per rendere più sostenibile il modo con cui si spostano merci e persone in questo paese, avremmo avuto riduzioni della bolletta petrolifera e delle importazioni di greggio ben maggiori e durature rispetto a quel pugno di taniche presente nei mari e nel sottosuolo italiano.

Il caso Sicilia. Nel canale di Sicilia al momento ci sono 5 permessi di ricerca rilasciati per un totale di 2.446 kmq. Rispetto allo scorso hanno non ci sono più i 6 permessi di ricerca a largo delle Egadi di cui era titolare la Shell Italia E&P. Un dato positivo che mette la parola fine, almeno per il momento, sulla petrolizzazione di quella zona. Le isole già nel 2011 erano state protagoniste di un blitz di Goletta Verde in cui si denunciava la minaccia per questo preziosissimo e delicato ecosistema marino. Un’attività petrolifera che al momento sembra sospesa ma su cui resta alta l’attenzione.

Le attività continuano comunque rigogliose in tutto il resto del Canale di Sicilia, dove le compagnie interessate si sono spartite l’area in maniera quasi omogenea, con la Eni – Edison che hanno due permessi di ricerca per un totale di 831 kmq nel territorio di Licata; la Northern Petroleum ha invece un solo permesso di ricerca rilasciato per un’area di 620 kmq nella porzione di area di fronte a Ragusa, mentre la compagnia Audax Energy ha un permesso nel mare dell’isola di Pantelleria di 657 kmq. Infine la Vega Oil ha un permesso a largo di Ragusa per un’area marina di 337 kmq. Oltre ai permessi già rilasciati incombono nel Canale di Sicilia 10 richieste di permessi di ricerca per circa 4.050 kmq: a sud di Capo Passero (SR), a largo di Gela; a largo della costa di Pozzallo (tra Gela e Siracusa); a largo di Agrigento e nel tratto di mare tra Marsala e Mazara del Vallo.

“Nel 2012 le maggiori produzioni di petrolio dei mari italiani si sono registrate nelle piattaforme ubicate nel Canale di Sicilia, dove la piattaforma Vega A ha prodotto da sola oltre il 30% del totale estratto a mare, mentre nell’intera area marina (comprensiva anche delle piattaforme di Gela, Perla e Prezioso) si è prodotto circa il 62% del totale di produzione di greggio marino – dichiara Mimmo Fontana, presidente Legambiente Sicilia – Una folle corsa che non accenna a fermarsi e rischia di mettere in pericolo una delle maggiori risorse di quest’isola, che non è certamente il greggio ma i suoi paesaggi naturali e marini. Invece, per un “pugno di taniche” stiamo vendendo il nostro futuro alle compagnie petrolifere. Aumentando, inoltre, esponenzialmente il rischio per il nostro territorio, perché stiamo autorizzando pozzi a una profondità maggiore addirittura di quello che ha danneggiato il Golfo del Messico. Oggi abbiamo reso queste estrazioni economicamente vantaggiose; pozzi fuori controllo che nessuno può garantire in caso di incidenti. Occorre fare fronte comune per fermare quest’assurda invasione nei nostri mari e ridare così agli enti locali e agli stessi cittadini la possibilità di riappropriarsi delle scelte che riguardano i loro territori”.

Canale di Sicilia: permessi di ricerca rilasciati

Società titolate

kmq

zona

Tratto di costa

interessato

Indicazione

Data conferimento

1

Eni-Edison

423,1

C-G

Licata (Ag)

GR13AG

09/11/1999

2

NPL

620,3

C

Ragusa

CR146NP

28/09/2004

3

Vegaoil

336,9

C

Ragusa

CR148VG

27/11/2006

4

Eni – Edison

408,8

C-G

Licata (Ag)

GR14AG

08/11/1999

5

Audax Energy

657,2

G

Isola di Pantelleria

GR15PU

12/11/2002

 

Totale kmq

2446,3

 

 

 

 

 

Istanze di ricerca  alla prima fase dell’iter autorizzativo

Società titolate

Kmq

Zona

Regione

Note ubicazione

ID titolo

1 Audax Energy 

724,6

C-G

Sicilia

A largo della costa compresa tra Marsala e Mazara del Vallo d 363 C.R-AX 

 

Istanze di permesso di ricerca in corso di Valutazione di impatto ambientale

Società titolate

Kmq

Zona

Regione

Note ubicazione

ID titolo

1 Edison-Eni

456,5

G

Sicilia

A largo di Gela d 28 G.R-.AG
2 Northern Petroleum Ltd- Petroceltic Italia

601,6

G

Sicilia

A largo della costa di Agrigento d 29 G.R-.NP
3 Northern Petroleum Ltd

334,5

C-G

Sicilia

A largo della costa compresa tra Agrigento e Licata d 30 G.R-.NP
4 Northern Petroleum Ltd

347,5

C

Sicilia

A largo della costa di Agrigento d 347 C.R-.NP
5 Edison Eni

153,9

G

Sicilia

A largo della costa di Gela d 33 G.R-.AG
6 Nautical PetroleuTransunion P. Italia

697,4

C

Sicilia

A largo della costa di Pozzallo d 359 C.R-.TU
7 Nautical PetroleumTransunion P. Italia

496,5

C

Sicilia

A largo della costa di Pozzallo d 361 C.R-.TU
8 Northern Petroleum  – Petroceltic Italia

134,40

C

Sicilia

A largo della costa di Licata

d 358C.R-.E.L

 Istanze di permesso di ricerca in fase decisoria

Società titolate

Kmq

Zona

Regione

Note ubicazione

ID titolo

1

Northern Petroleum Ltd

101,87

C

Sicilia

A largo della costa compresa tra Pozzallo e Capo passero

d 351 C.R-.NP

 

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Tares – patrimoniale mascherata

Tares – patrimoniale mascherata

Pubblicato: 18 luglio 2013 | Autore:  | Archiviato in: Uncategorized | Modify: Modifica questo | Lascia un commento »

 

 

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18 luglio 2013     

Tares

Senatori Pd: Tassa sui rifiuti è patrimoniale mascherata

 

“No a una tassa sui rifiuti che di fatto è una patrimoniale mascherata”. Lo affermano i senatori del Partito democratico Laura Cantini, Mario Morgoni e Isabella De Monte che hanno presentato una mozione, sottoscritta da numerosi parlamentari, che “impegna il governo a modificare il tributo comunale per legarlo all’efficienza del servizio e della raccolta, secondo criteri di equità”. “Chi inquina deve pagare – sostengono i parlamentari democratici – mentre deve risparmiare chi produce meno rifiuti. La nuova imposta, che sostituisce Tia e Tarsu, si applica invece sulla base della superficie calpestabile degli immobili – spiegano Cantini, Morgoni e De Monte – e prevede una maggiorazione di 0,30 centesimi per ogni metro quadrato. Il tributo comunale sui rifiuti è basato, pertanto, su elementi meramente patrimoniali e non sulla quantità e sulla qualità dei rifiuti prodotti”. I parlamentari fanno presente che “l’entrata in vigore del nuovo regime tariffario comporterà per le attività produttive un aumento del 290 % delle tariffe sui rifiuti, mentre per le famiglie la tassazione aumenterebbe del 15 o 20 % senza incrementi del rifiuto prodotto. Che cos’è questo prelievo, che graverà sul sistema imprenditoriale e più in generale sul sistema paese, se non una patrimoniale occulta?” “Con la nostra mozione chiediamo dunque al governo di eliminare la maggiorazione prevista dal decreto legge n. 201 del 2011, in quanto estremamente penalizzante nei confronti di cittadini e imprese, oltretutto non correlata a comportamenti responsabili e virtuosi. Inoltre, chiediamo di individuare sistemi premianti, laddove i territori esprimano risultati positivi in termini di minore produzione di rifiuti e di elevata raccolta differenziata”.


Uso efficiente delle risorse — Imperativo per le imprese

Uso efficiente delle risorse — Imperativo per le imprese

Pubblicato: 15 luglio 2013 | Autore:  | Archiviato in: Uncategorized | Tags:  | Modify: Modifica questo | Lascia un commento »

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 “Verso un uso più efficiente delle risorse”

Uso efficiente delle risorse —  Imperativo per le imprese

La crescita dell’economia mondiale e l’aumento della popolazione del pianeta (9 miliardi di persone entro il 2050) sono chiari segnali del fatto che le risorse della terra vengono consumate rapidamente.Risorse quali acqua, suolo, aria pulita e servizi ecosistemici sono vitali per la nostra salute e qualità di vita, tuttavia sono disponibili solo in quantità limitate.
La sempre maggiore concorrenza per determinate risorse provocherà scarsità e aumento dei prezzi, con ripercussioni sull’intera economia europea.
È necessario un uso più efficiente delle risorse lungo il loro intero ciclo di vita, dall’estrazione, il trasporto e il consumo, fino allo smaltimento dei rifiuti.
È per questo che la Commissione sta spingendo verso un uso più efficiente delle risorse, laddove con tale espressione si intende produrre maggior valore grazie a un minor impiego dei materiali e a modalità di consumo diverse. In questo modo i rischi di scarsità delle risorse saranno limitati e gli impatti sull’ambiente verranno contenuti entro i limiti naturali del nostro pianeta.
Questa idea trasversale si applica a tutte le risorse naturali, dal cibo, il legname e la biodiversità all’energia, i metalli, il suolo, l’acqua, i minerali, l’atmosfera e le risorse naturali.
Contribuire ad un uso più efficiente delle risorse in Europa è la via più facile, sicura ed economica verso il raggiungimento di obiettivi politici in campo economico, sociale e ambientale

Il contesto politico: Europa 2020
L’uso più efficiente delle risorse è una componente essenziale di
Europa 2020, la strategia dell’Unione europea (UE) per favorire la crescita e l’occupazione nei prossimi dieci anni.

Tale strategia intende promuovere una crescita economica che sia intelligente (basata sulla conoscenza e l’innovazione), sostenibile (una crescita verde è più sostenibile nel lungo periodo) e inclusiva (un tasso elevato di occupazione crea una maggiore coesione sociale e territoriale).

I sette obiettivi faro previsti dalla strategia comprendono l’iniziativa di un’Europa efficiente sotto il profilo delle risorse, che crea un contesto a lungo termine per le azioni a sostegno dei programmi politici in vari settori: ambiente e cambiamenti climatici, energia, trasporti, industria, agricoltura, pesca e sviluppo regionale.

L’obiettivo è accrescere la sicurezza per gli investimenti e l’innovazione e creare opportunità di crescita sostenibile assicurando che tutte le politiche pertinenti
diventino fattori coerenti di un impiego efficiente delle risorse.

Quali sono i benefici?
Vi sono benefici da cogliere su numerosi fronti. Nuove opportunità commerciali porteranno a una maggiore crescita e alla creazione di posti di lavoro.

Settori quali l’edilizia, la gestione degli ecosistemi e delle risorse, la produzione di energia da fonti rinnovabili, le ecoindustrie e il riciclaggio presentano tutti un potenziale elevato per accrescere l’occupazione.

Aumenterà la stabilità economica, in quanto l’uso efficiente delle risorse rappresenta un modo per garantire la sicurezza degli approvvigionamenti e far fronte alla volatilità del mercato di risorse di importanza fondamentale.

Tali aspetti sono importanti per i consumatori europei e per i settori che dipendono dalla disponibilità di metalli delle terre rare, acqua dolce, stock ittici e risorse alimentari.

Un uso migliore delle risorse è un sostegno alla salute economica di settori essenziali, quali agricoltura, silvicoltura e pesca.

Le industrie dell’UE che utilizzano i prodotti di tali settori dipendono dalla disponibilità di risorse naturali, suolo, acqua e biodiversità, pertanto un loro impiego più efficiente sarà maggiormente premiato.

Adattare le pressioni esercitate sulle risorse ai cambiamenti globali contribuirà altresì a migliorare la competitività a lungo termine.

Il passaggio ad un’economia a basse emissioni di carbonio contribuirà ad evitare cambiamenti climatici pericolosi e porterà numerosi altri benefici.

Tutto ciò è possibile grazie all’ulteriore sviluppo di tecnologie esistenti, quali le tecnologie legate all’ energia da fonti rinnovabili e agli autoveicoli elettrici, e all’investimento in infrastrutture a basse emissioni di carbonio.

Oltre a permettere una drastica riduzione delle importazioni di petrolio e gas, ciò contribuirebbe a ridurre in modo considerevole l’inquinamento atmosferico e a conseguire un risparmio significativo in termini di costi sanitari e misure per il controllo dell’inquinamento.

Vi sono inoltre implicazioni fiscali per l’amministrazione finanziaria. L’imposizione fiscale dell’impiego delle risorse piuttosto che della forza lavoro può favorire l’equilibrio delle finanze pubbliche senza ripercuotersi negativamente sulla competitività e dare al contempo un forte slancio all’ occupazione. È un modo per migliorare l’efficienza dei programmi di spesa.

Cosa si intende per impiego efficiente delle risorse e perché ne abbiamo bisogno?


Le risorse limitate del pianeta devono essere utilizzate in modo più sostenibile.

La nostra società dipende da fattori quali metalli, minerali, combustibili, acqua, legname, suolo fertile e aria pulita, che rappresentano tutti degli elementi essenziali per il funzionamento della nostra economia.

Tuttavia, stiamo consumando queste risorse limitate a un ritmo molto più veloce rispetto alla loro capacità di rigenerarsi e ci troveremo di fronte a una grave penuria di risorse se non modificheremo il nostro approccio.

L’Europa dipende dal resto del mondo per molte risorse, quali i combustibili e le materie prime che compongono i prodotti importati da paesi terzi.

La scarsità di risorse e la volatilità dei prezzi delle materie prime potrebbero essere causa di instabilità in molte regioni del mondo. Pertanto, farne un uso più efficiente è un imperativo per tutti.

Per trasformare l’Europa in un’economia basata su un uso efficiente delle risorse sono necessarie riforme di vasta portata, a causa dei tanti possibili intoppi da superare.

L’iniziativa faro «Un’Europa efficiente nell’ impiego nelle risorse», lanciata all’ inizio del 2011, offre un contesto generale d’azione proponendo al contempo, durante l’anno, una serie di tabelle di marcia di lungo termine per il clima, l’energia e i trasporti.

Una tabella di marcia complementare, la cui adozione è prevista nella metà del 2011, offre una visione dei cambiamenti strutturali e tecnologici necessari fino al 2050, con obiettivi da raggiungere entro il 2020 e suggerimenti per il loro conseguimento. La tabella di marcia cerca di individuare possibili incoerenze politiche e disfunzioni di mercato che è necessario risolvere.

Getta luce su argomenti trasversali, quali il comportamento dei consumatori e la necessità di maggiori investimenti nell’ innovazione, e analizza le risorse essenziali tenendo conto del loro ciclo di vita.

E allora, cosa sta facendo l’UE?

Il 2011 sarà l’anno di numerose iniziative a livello dell’UE volte a sensibilizzare sulla necessità di un utilizzo più efficiente di risorse già limitate. Sulla scia della comunicazione trasversale in materia di impiego efficiente delle risorse, è stata conseguita una serie di risultati, quali documenti sui cambiamenti climatici,

l’energia e la biodiversità che promuovono il passaggio ad un’economia basata su un uso efficiente delle risorse, nonché altri programmi in settori quali i trasporti, l’agricoltura, la pesca, le materie prime e la tassazione delle risorse energetiche;
citiamo di seguito alcuni esempi.

La tabella di marcia verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050, che analizza le possibili opzioni che consentiranno all’UE di diventare un’economia a basso impiego di carbonio, rendendo sicuro l’approvvigionamento energetico, promuovendo la crescita sostenibile e l’occupazione e garantendo al contempo che le misure proposte siano efficienti
dal punto di vista dei costi e non abbiano conseguenze negative in termini di distribuzione.

Sulla scia della tabella di marcia per un’economia a basso impiego di carbonio, nella seconda metà del 2011 la Commissione presenterà una tabella di marcia per l’energia per il 2050 incentrata sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra nell’ Unione europea in vista di una riduzione delle emissioni dell’UE compresa fra l’80 e il 95 % entro il 2050.

La tabella di marcia per l’energia presenterà alternative diverse per il conseguimento degli obiettivi prefissati, offrirà un riesame dell’attuale politica energetica dell’UE — sostenibilità, sicurezza dell’approvvigionamento energetico e competitività — e saràincentrata sulle possibilità di migliorare la transizione verso un sistema a basso impiego di carbonio.

Una nuova strategia in materia di biodiversità dovrebbe garantire la tutela, la valorizzazione e l’opportuno ripristino della biodiversità dell’UE e dei servizi ecosistemici da essa prodotti entro il 2050. In questo modo si dovrebbe riuscire a tutelare il contributo essenziale che la biodiversità offre al benessere umano e alla prosperità economica e a prevenire i cambiamenti catastrofici causati dalla perdita di biodiversità.

Il quadro è completato dalla tabella di marcia verso un impiego efficiente delle risorse in Europa, che delinea un contesto coerente di politiche e azioni tese a favorire il passaggio a un’economia caratterizzata da un impiego efficiente delle risorse.

L’obiettivo è di aumentare la produttività delle risorse, scindere la crescita economica dall’ impiego delle risorse, accrescere la competitività e promuovere la sicurezza degli approvvigionamenti.

La Commissione ha altresì adottato una nuova strategia per garantire all’UE l’accesso alle materie prime. Le materie prime non energetiche sono importanti per tecnologie quali le autovetture elettriche e il fotovoltaico.

La nuova strategia intende migliorare l’accesso dell’Europa alle materie prime, cercando di garantirne l’approvvigionamento equo e sostenibile dai mercati internazionali, favorendo un’offerta sostenibile all’interno dell’UE e promuovendo la pratica del riciclaggio.

Le riforme in corso della politica agricola comune pongono l’attenzione sulla migliore gestione delle risorse biologiche a sostegno dell’agricoltura, nonché la promozione del ruolo delle aree rurali per la produzione di servizi pubblici.

La biodiversità trarrà altresì beneficio da ogni miglioramento generale dell’ambiente nel suo complesso.

Un libro bianco sul futuro dei trasporti prospetta piani fino al 2050 e fornisce indicazioni su come sia possibile realizzare un mercato interno per i trasporti,

l’innovazione e le infrastrutture moderne. Il documento definisce il contesto generale dei prossimi dieci anni nell’ ambito delle infrastrutture di trasporto, della legislazione per il mercato interno, della decarbonizzazione dei trasporti, della tecnologia di gestione del traffico e dei veicoli verdi, nonché del ricorso alla
standardizzazione, a strumenti di mercato e a incentivi.

Le altre azioni proposte comprendono il miglioramento dell’efficienza energetica nell’UE e misure tese ad accrescere la sostenibilità del settore edile. La riforma della direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici apre la strada ad una maggiore efficacia nella scelta dei carburanti. I dettagli relativi alla proposta sono disponibili alle pagine web indicate nell’ ultima pagina, in basso.

Come si può fare?
Negli ultimi decenni, il cambiamento dei paradigmi nell’ impiego delle risorse ha dimostrato che è perfettamente possibile compiere progressi nell’ uso efficiente delle risorse.

Nel corso degli ultimi 20 anni il riciclaggio è divenuto una pratica consolidata per le imprese e le famiglie dell’UE, con importanti ripercussioni su settori quali la carta, il vetro e l’estrazione delle risorse. Anche le norme a livello dell’UE hanno imposto una riduzione delle emissioni di CO2: dal 1990, le emissioni di gas a effetto serra nell’ UE sono diminuite di oltre il 10%, mentre le economie europee sono cresciute di circa il 40% nello stesso periodo.

Esistono cinque regole auree per aumentare al massimo la crescita economica e attenuare al contempo la pressione sulle risorse:

• Risparmio: cogliere ogni possibile opportunità 
esistente di risparmio delle risorse; nell’ UE alcune 
economie sono 16 volte più efficienti di altre;

 Riciclaggio: aumentare il riciclaggio dei materiali 
e il riutilizzo degli elementi contenuti all’ interno dei 
prodotti (un recente esempio è dato dai telefoni 
cellulari);

 Sostituzione: sostituire risorse primarie con 
alternative in grado di coniugare maggiore efficienza 
e minore impatto sull’ ambiente nel loro ciclo di vita 
(ad esempio, attraverso l’eliminazione graduale del 
mercurio);

• Riduzione: rendere le risposte alle esigenze delle 
persone meno materiali attraverso nuovi modelli 
commerciali o beni e servizi realizzati con minor 
dispendio di risorse.

Fra gli esempi sono da annoverare il peso degli autoveicoli o la possibilità di scaricare musica e prodotti di intrattenimento in modo legale da Internet anziché acquistare un oggetto fisico come un DVD;

• Valorizzazione: i decisori politici devono individuare nuovi modi di considerare il giusto valore delle risorse naturali nell’ ambito delle proprie decisioni, che permettano una migliore gestione della base naturale delle nostre risorse. La pressione sull’ ambiente potrà essere allentata se impariamo a valorizzare, anche economicamente, i servizi ecosistemici e le risorse naturali.

I pericoli di un utilizzo eccessivo

Senza un’attenta gestione vi è il serio rischio che si verifichino cambiamenti irreversibili degli ecosistemi. Un esempio di tali cambiamenti è rappresentato dal declino irreversibile degli stock di merluzzo bianco al largo delle coste canadesi negli anni novanta. Lo sfruttamento degli stock demersali da parte dei pescherecci da traino per la pesca di fondo in alto mare ha causato un consistente aumento delle catture, subito seguito da un repentino calo. La mancanza di decisioni di governance efficaci e tempestive ha comportato la perdita della fonte di lavoro per decine di migliaia di persone, con costi umani enormi e lo sfacelo delle comunità locali, nonché a tutt’ oggi l’impossibilità di ripristino degli stock di merluzzobianco.

L’effetto rimbalzo
Sebbene molte iniziative legate ad un uso efficiente delle risorse si riferiscano alla produzione, vengono affrontate anche questioni relative al consumo.

Vi sono studi in corso sul cosiddetto «effetto rimbalzo», ovvero sull’ idea che l’introduzione di tecnologia e strumenti politici tesi a migliorare l’efficienza ambientale possano provocare l’effetto collaterale indesiderato di accrescere il consumo.

Ad esempio, la tecnologia della coibentazione domestica, applicata per aumentare l’efficienza termica di un’abitazione e diminuire le spese di riscaldamento, potrebbe indurre gli abitanti della casa a lasciare l’impianto di riscaldamento acceso più a lungo o a temperature maggiori, annullando così ogni beneficio conseguito in termini di efficienza. L’esistenza e l’importanza dell’effetto rimbalzo e i possibili modi per farvi fronte formano oggetto di accese discussioni, che evidenziano la necessità di maggiori informazioni in materia.

Per ulteriori informazioni:

Un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse — Iniziativa faro nell’ambito della strategia
Europa 2020:http://ec.europa.eu/resource-efficient-europe/

Tabella di marcia per un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse:

http://ec.europa.eu/environment/resource_efficiency/

Strategia per la diversità biologica:

http://ec.europa.eu/environment/nature/index_en.htm

Tabella di marcia per il passaggio a un’iniziativa a basse emissioni di carbonio nel 2050:

http://ec.europa.eu/clima/documentation/roadmap/docs/com_2011_112_it.pdf

Iniziativa materie prime:

http://ec.europa.eu/enterprise/policies/raw-materials/index_it.htm

Iniziative sull’uso dell’energia, compresa la tabella di marcia verso il 2050:

http://ec.europa.eu/energy/index_en.htm


MERCEOLOGIA DEL RICICLO

MERCEOLOGIA DEL RICICLO

Pubblicato: 15 luglio 2013 | Autore:  | Archiviato in: Uncategorized | Modify: Modifica questo | Lascia un commento »

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Merceologia del riciclo

di GIORGIO NEBBIA
Rifiuti”: poche parole vengono ripetute con maggiore frequenza anche da ciascuno di noi…

Rifiuti”: poche parole vengono ripetute con maggiore frequenza anche da ciascuno di noi, a proposito delle proteste per i sacchetti di immondizie che si accumulano nelle strade, contro le discariche o gli inceneritori o a proposito della raccolta differenziata. I rifiuti sono il risultato inevitabile di qualsiasi operazione di produzione agricola o industriale e di consumo delle merci. Per limitarci ai rifiuti solidi, in Italia si tratta di circa 180 milioni di tonnellate all’anno. 32 di rifiuti urbani, 50 di rifiuti industriali, 70 di rifiuti delle attività di cave, miniere e residui di costruzioni, 28 di altri rifiuti. Nel complesso la vita quotidiana di ogni italiano comporta la produzione, ogni anno, di circa 500 chili di rifiuti urbani, di circa 3000 chili di rifiuti totali, pari a cinquanta volte il peso di ciascuno di noi.

Per evitare l’uso inquinante delle discariche o degli inceneritori ai cittadini viene chiesto di effettuare una raccolta differenziata dei propri rifiuti domestici in modo da separare le componenti che potrebbero essere riciclati con minore effetto ambientale negativo, anzi con recupero di materiali economici, di “merci riciclate”, che altrimenti richiederebbero nuove materie prime tratte dalla natura. In generale però non viene adeguatamente spiegato in che cosa consiste il riciclo, un insieme di attività che coinvolge centinaia di aziende e decine di migliaia di lavoratori, tecnologie talvolta raffinate e un grande giro di affari. Ciascuna delle frazioni di rifiuti, raccolti in maniera differenziata, viene dapprima ritirata da alcune imprese che effettuano una selezione per eliminare le componenti estranee: purtroppo infatti spesso molti cittadini, pur volonterosi, mettono alcuni rifiuti nel cassonetto sbagliato, rendendo talvolta impossibile il riciclo dell’intero contenuto.Ciascuna frazione, abbastanza omogenea, di rifiuti (vetro, plastica, metalli, carta, eccetera) viene venduta (proprio così, esiste un vero commercio come se si trattasse di qualsiasi altra materia prima o merce) alle industrie che trasformano i rifiuti differenziati in nuove merci. Nella Comunità Europea ciascun rifiuto, dalla lampadina bruciata, alla bottiglia della conserva di pomodoro, al camion fuori uso destinato alla rottamazione, è classificato con un codice numerico CER (Catalogo Europeo dei Rifiuti, consultabile nel Testo Unico ambientale, il decreto 152 del 2006). Un rifiuto viene avviato allo smaltimento o al riciclo proprio sulla base di questo codice CER. Il riciclo è effettuato da industrie specializzate di cui sarebbe bene conoscere i processi se si vuole fare una raccolta differenziata veramente efficace.Proprio in aprile una speciale commissione della Confindustria, l’associazione degli industriali, ha pubblicato lo studio: “Verso un uso più efficiente delle risorse” il cui testo è disponibile in Internet e che potrebbe essere utile in molti corsi universitari, dal momento che molte fasi della caratterizzazione e del riciclo dei rifiuti richiedono controlli chimici e fisici, in qualche caso molto delicati. Dal documento citato appare, per esempio, che nella produzione vitivinicola si forma oltre un milione di tonnellate di sottoprodotti dai quali potrebbero essere ottenuti gas combustibili o alcol etilico. Degli oltre sei milioni di tonnellate della carta e dei cartoni raccolti in maniera differenziata in Italia ogni anno, solo cinque entrano nei processi di produzione di nuova carta e in tali processi di riciclo si formano altri rifiuti: 400 mila tonnellate all’anno: fanghi di disnchiostrazione e di altro tipo, che finiscono nelle discariche o negli inceneritori.Fra le materie più difficili da riciclare ci sono le materie plastiche; quelle in commercio sono di molti tipi diversi, ciascuna con composizione chimica e ingredienti diversi, per cui una gran parte della plastica, anche raccolta negli appositi cassonetti, finisce nelle discariche (1,6 milioni di tonnellate) o negli inceneritori spesso con effetti inquinanti dell’atmosfera. Le attività di demolizione degli edifici e delle costruzioni producono ogni anno circa 50 milioni di tonnellate di residui che, in gran parte, finiscono nelle discariche. La rottamazione e il riciclo delle varie componenti dei veicoli fuori uso comporta delicati problemi tecnici ed ecologici perché le varie parti dei veicoli delle varie marche hanno composizione chimica differente; comunque, nella rottamazione, oltre il 25 % del peso del veicolo finisce in un rifiuto, detto “fluff”, costituito da una miscela di materiali metallici come ferro e alluminio, materie plastiche, gomma, vetro, fibre tessili, vernici, di difficile smaltimento.Gli inceneritori/termovalorizzatori dei rifiuti urbani, che tanto piacciono a molte amministrazioni locali, lasciano come residuo circa il 30 % di ceneri, in parte da smaltire in discariche speciali che non esistono in Italia, per cui devono essere esportate in Germania. Per farla breve: qualsiasi processo di trattamento e di riciclo dei rifiuti si lascia dietro inevitabilmente altri rifiuti e inquinamenti: lo stesso riciclo dei rifiuti richiede la soluzione di problemi chimici, tecnici, commerciali, argomenti di una vera e propria “Merceologia del riciclo”, il cui insegnamento e le cui conoscenze consentirebbero agli amministratori e agli imprenditori scelte meno costose e, a loro volta, meno inquinanti, capaci di creare nuova duratura occupazione: infatti, siate certi, la massa dei rifiuti da trattare aumenterà sempre.

tratto da  http://www.eddyburg.it/

PREVEDERE E PREVENIRE, ALTRIMENTI NON LAMENTIAMOCI

PREVEDERE E PREVENIRE, ALTRIMENTI NON LAMENTIAMOCI

Pubblicato: 14 luglio 2013 | Autore:  | Archiviato in: Uncategorized | Modify: Modifica questo | Lascia un commento »

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Prevedere e prevenire, altrimenti non lamentiamoci

di GIORGIO NEBBIA
Le numerose e continue crisi ambientali ed economiche non sono colpa di una divinità ostile

Le numerose e continue crisi ambientali ed economiche non sono colpa di una divinità ostile, ma dell’imprevidenza di chi prende le decisioni di fare o non fare una certa opera o una certa scelta produttiva senza tenere conto delle possibili conseguenze. Gli esempi potrebbero riempire interi volumi e qualche opera è stata anche scritta su questo argomento: Nel 1971 il libro “La tecnologia imprevidente” (“The careless technology”, di T. Farvar e John Milton) conteneva una lunga serie di esempi di interventi sbagliati, come la diga di Assuan che ha provocato l’arretramento della costa nel delta del Nilo; alcuni anni dopo, nel 1997, un libro dell’americano Edward Tenner spiega “Perché le cose ci ricadono addosso” (“Why things bite back”), con un elenco di casi in cui le scelte economiche si sono rivelate sbagliate.

Nel caso dell’Italia si possono ricordare le scelte edilizie che hanno alterato la stabilità dei versanti, provocando frane, o provocato l’erosione delle spiagge. Per anni è stato prodotto e usato il piombo tetraetile come additivo della benzina, senza tenere conto (e lo si sapeva da tempo) che avrebbe immesso nell’atmosfera fumi contenenti il velenoso piombo, dannoso a chi lo respirava camminando nelle strade piene di traffico; la produzione di detersivi non biodegradabili ha provocato la comparsa di stabili schiume nei fiumi e di mucillaggini nel mare. In tutti i casi sono stati spesi soldi, sono state create aspettative di lavoro e di guadagno, poi deluse con la chiusura di fabbriche, disoccupazione e danni alla salute e all’ambiente.  

Spesso una scelta non adeguatamente valutata provoca conflitti: ad esempio se un comune vuole smaltire i suoi rifiuti urbani (cosa che deve fare per legge) seppellendoli in una discarica, gli abitanti e gli agricoltori vicini possono opporsi perché prevedono che la discarica generi cattivi odori o danneggi i raccolti. Gli scienziati dalla parte del comune dichiarano che non c’è nessun danno; gli scienziati dalla parte dei contestatori assicurano che i danni ci saranno. Chi ha ragione ? Occorrerebbero degli scienziati “neutrali” (per quanto neutrali possano essere gli scienziati) in grado di informare le amministrazioni locali, ma ancora di più i parlamenti, sui prevedibili aspetti positivi e negativi delle decisioni che si propongono di prendere.

Il più noto esempio di un ufficio di previsioni tecnologiche è stato l’Office of Technology Assessment (OTA) che fu creato presso il Congresso (Camera dei rappresentanti e Senato) degli Stati Uniti nel 1974. I progetti di legge venivano inviati all’OTA che conduceva degli studi di scrutinio (“assessment”, appunto) delle possibili conseguenze. L’OTA funzionò fino al 1995 producendo centinaia di rapporti (fortunatamente ancora disponibili in Internet) su tutti i principali problemi tecnico-scientifici di interesse non solo americano, ma mondiale, nel campo delle scelte industriali, dei minerali, delle fonti di energia, dei prodotti agricoli e commerciali, eccetera.

Per avere una struttura capace di prevedere gli effetti delle scelte tecnico-scientifiche in Europa sarebbe stato necessario aspettare fino al 1998 quando il Parlamento Europeo creò un servizio denominato Science and Technology Options Assessment (STOA). In Internet. nel sito www.europarl.europa.eu/stoa, si trovano tutte le pubblicazioni relative ai vari argomenti che sono stati sottoposti ad uno scrutinio tecnico-scientifico. Mi chiedo quanti parlamentari italiani e membri italiani del Parlamento europeo utilizzino questa preziosa fonte di informazioni quando prendono decisioni sulla cosiddetta “economia verde”, sulle caratteristiche dei prodotti alimentari, sugli organismi geneticamente modificati, sulla prevenzione dei mutamenti climatici, sullo smaltimento dei rifiuti, eccetera.

Eppure su questi problemi e su molti altri di interesse economico e industriale, il servizio STOA conduce indagini dirette a prevedere e prevenire possibili effetti secondari negativi. Faccio pochi esempi: lo studio STOA n. 01-2012 esamina i diversi aspetti del dibattito sui finanziamenti pubblici agli impianti che utilizzano le biomasse (prodotti, scarti o residui agricoli e forestali) come fonti di energia rinnovabili, contestati come possibili cause di inquinamento. Per produrre energia rinnovabile dal Sole o dal vento si parla tanto dello sviluppo di una industria capace di produrre centrali fotovoltaiche o pale eoliche, oggi quasi monopolio cinesi.

Ma quali e quanti metalli speciali (le terre rare) occorrono per costruire tali apparecchiature e dove prenderli e quanto costano è il tema esaminato nel rapporto STOA n. 12-2011. I sindaci che pensano al futuro del traffico nelle loro città trarranno utili informazioni dal rapporto STOA 12-2012 che esamina le possibili evoluzioni dei trasporti urbani. Gli studi dello STOA forniscono indicazioni utili anche per scelte produttive indicando quali settori hanno reali prospettive di successo commerciale, capaci di aumentare una stabile occupazione industriale. Per inciso la lettura di questi documenti, realizzati con i nostri soldi e per questo pubblici, offrirebbe molti temi per delle belle tesi di laurea.

Articolo spedito contemporaneamente a La Gazzetta del Mezzogiorno
“tratto dal sito Web eddyburg.it”

Verso una nuova Marghera, una delibera di giunta.

Verso una nuova Marghera, una delibera di giunta.

Pubblicato: 13 luglio 2013 | Autore:  | Archiviato in: Uncategorized | Modify: Modifica questo | Lascia un commento »

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Bettin: “Finalmente gli spazi per l’Ecodistretto e per liberare la città dal traffico pesante”

 

 

Un doppio passo molto importante è stato compiuto questa mattina dalla giunta comunale, con l’assegnazione degli spazi necessari per avviare, in via della Geologia in zona industriale, l’Eco-distretto promosso da Veritas Ecoricicli e dall’amministrazione comunale di Venezia, e per spostare nell’ex boschetto “Sirma” i depositi di container e autoarticolati oggi presenti nel centro abitato di Catene, come da tempo richiede la Municipalità di Marghera.
Con la prima scelta si imprime nuovo impulso alla scelta strategica di concentrare in un’unica area tutta la filiera del riciclo (vetro, plastica, lattine, carta ecc.) che ha già dato in questi anni importanti risultati sia in termini occupazionali sia prefigurando un vero e proprio nuovo ramo d’industria modernissima e sostenibile, capace di trasformare i rifiuti in nuova materia prima. Una filiera che, in particolare nel vetro, sta già portando a nuove importanti collaborazioni di livello internazionale, destinate a fare dell’una delle maggiori aree di settore italiane ed europee.
Lo spostamento e la riorganizzazione dell’autotrasporto nell’ex area Sirma consentirà parimenti di attrezzare razionalmente questo settore e, al tempo stesso, di liberare Catene e Marghera da una presenza di forte impatto sui residenti. Un risultato atteso da decenni che e può diventare, in tempi ragionevolmente brevi, finalmente realtà.

Gianfranco Bettin
Assessore all’Ambiente

Venezia, 12 luglio 2013


Governo: Ecodem, “Grillo attacca Orlando? Sui rifiuti vada a lezione in Europa”

Governo: Ecodem, “Grillo attacca Orlando? Sui rifiuti vada a lezione in Europa”

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“Se c’è qualcuno che va allo sbaraglio è Grillo, non Orlando. Anziché parlare per sentito dire, vada a studiare come vengono gestiti i rifiuti nei paesi europei ambientalmente più avanzati, e poi se ne riparla”: gli Ecodem difendono il ministro dell’ambiente Andrea Orlando dagli attacchi del leader del M5S, con una dichiarazione del presidente Fabrizio Vigni.

“Con le sparate demagogiche non si va da nessuna parte. Per gestire correttamente i rifiuti non ci si affida alla bacchetta magica, bisogna costruire sistemi che rispettino la gerarchia indicata dalle direttive europee. Primo: prevenzione e riduzione dei rifiuti. Secondo: riuso e riciclo di tutti i materiali riciclabili, potenziando fortemente la raccolta differenziata e sostenendo l’industria del riciclo. Terzo, recupero energetico per la parte non riciclabile con le migliori tecnologie in grado di tutelare la salute e l’ambiente, per chiudere il ciclo e ridurre tendenzialmente a zero lo smaltimento in discarica. I paesi più’ virtuosi, come la Germania, già lo fanno. L’Italia – conlcude Fabrizio Vigni – deve seguire questa strada”.


PRESENTATO IL NUOVO QUADERNO DELL’OSSERVATORIO AMBENTE E LEGALITÀ

Presentato il nuovo quaderno dell’Osservatorio ambente e legalità

 

 

COMUNICATO STAMPA

Ambiente, corruzione e criminalità: presentato
il nuovo Quaderno dell’Osservatorio Ambiente e Legalità

 

 

Come cambia la corruzione nel contesto veneto e veneziano e come ambiente e legalità siano fortemente legati. E’ questa la tematica affrontata in “Focus corruzione e legalità debole”, il secondo Quaderno di approfondimento edito dall’Osservatorio Ambiente e Legalità del Comune di Venezia e da Legambiente e presentato questa mattina con una conferenza stampa che si è svolta al Municipio di Mestre, alla quale sono intervenuti l’assessore comunale all’Ambiente e Città sostenibile, Gianfranco Bettin, il coordinatore dell’Osservatorio Ambiente e Legalità, Gianni Belloni, il presidente di Legambiente Veneto, Luigi Lazzaro. Dopo quello dedicato al traffico di rifiuti, questo secondo quaderno analizza il sistema corruttivo in rapporto al sistema del project financing, delle energie rinnovabili, delle organizzazioni criminali e del sistema del controlli, con il contributo di esperti e di osservatori specializzati.

“Quando si parla di corruzione – ha esordito l’assessore Bettin – emerge spesso un difetto nella lettura dei fenomeni e si tende a fare un’analisi parziale e parcellizzata dei fatti. E’ invece necessario, così come viene fatto nel Quaderno, avere una visione d’insieme e analizzare complessivamente i fenomeni, perché solo se si risale alla loro radici si possono contrastare.” Al contrario, ha continuato l’assessore, i problemi derivano anche da una incapacità delle norme di contrastare la corruzione e l’illegalità. “Sembra assurdo – ha continuato Bettin – ma spesso disastri e scempi ambientali non avvengono nell’illegalità esplicita, ma sono il frutto di una legalità subalterna al raggiungimento di un obiettivo, come è stato ad esempio per la realizzazione di Porto Marghera, grazie all’allora Piano regolatore che ne stabiliva l’insediamento”.

Dopo un’introduzione curata da Belloni, che mette in evidenza la connessione tra la corruzione e la devastazione ambientale, spiegando come in questi anni sia cambiato il sistema della corruzione e come si sia sviluppata una classe imprenditoriale parassitaria, il quaderno tratta di “Corruzione, sostenibilità e beni comuni” in un saggio di Alberto Vannucci. Si continua con “La corruzione ai tempi del project financing” in un’analisi di Ivan Cicconi; si prende in considerazione “L’area grigia della green economy” con un testo di Lorenzo Segato; Nicola Destro spiega le caratteristiche dell’abuso edilizio nel nostro territorio in “Abusivismo edilizio in salsa veneta”. “Contro le mafie e la corruzione a partire dal Comune” è il tema trattato da Pierpaolo Romani, mentre Alberto Vitucci descrive la realtà veneziana in “Le opere in riva alla laguna”.

Infine il quaderno fornisce i dati del Ministero dell’Interno suddivisi per regioni italiane su concussione e corruzione dal 2009 a febbraio 2012. Da questi emerge che il Veneto, con 74 persone, registra un numero di denunce per corruzione minore solo alla Sicilia (176), alla Campania (163), alla Lombardia (149), alla Toscana (92) e alla Puglia (75); mentre per concussione (35) risultano denunciate più persone solo in Campania (115), in Sicilia (62) e Puglia (42). Il quaderno si può consultare sul sito www.osservatorioambientelegalitavenezia.it

 

 

Venezia, 18 giugno 2013 /Comunicato stampa